SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Venerdì 4 Ottobre, giornata dedicata a S. Francesco patrono d’Italia, come ormai da tradizione, si è tenuta presso la chiesa di S. Antonio la Concelebrazione Eucaristica presieduta dal nostro Vescovo Gervasio Gestori. Numerose le autorità che hanno partecipato alla celebrazione, tra cui il sindaco Giovanni Gaspari, il Comandante della Polizia Municipale Pietro D’Angeli, il Comandante della Guardia di Finanza Roberto Bizzoco, il nuovo Comandante dei Carabinieri Pompeo Quagliozzi e l’Assessore Lucciarini in rappresentanza del comune di Ripatransone. Alla loro presenza, il Vescovo ha ricordato la dimensione preminentemente pubblica della fede, testimoniata dalla vita e dalle scelte di S. Francesco. Attraverso la fede infatti, si può avere uno sguardo più completo sulla realtà e solo attraverso la fede si è in grado di affrontarla con speranza, nella certezza che il futuro è affidato ad una guida e si inserisce in un itinerario che è quello pensato dal Signore.
Al termine della celebrazione il Vescovo ha benedetto i rami d’ulivo che sono stati consegnati ai fedeli. Successivamente, ha incontrato le autorità presso le strutture del convento.
Leggiamo le parole pronunciate da S.E.R. Gervasio Gestori: “Carissimi, in unione con il Papa, che sta concludendo la sua intensa giornata nella città natale di S. Francesco, celebriamo la festa del Patrono d’Italia. Vorrei fermare la vostra attenzione sulla fede di questo grande santo, perchè stiamo vivendo l’Anno della fede, voluto da papa Benedetto e confermato poi da papa Francesco.
Ai tempi del Poverello di Assisi la fede cristiana era cosa pacifica e comune, pubblicamente manifestata senza problemi e chiaramente vissuta. Piuttosto la mancanza di fede appariva come una cosa rara, di cui vergognarsi, ed era un atteggiamento da tenere nascosto, anche per evitare il rischio di incorrere in qualche sanzione.
In quell’epoca più che la mancanza di fede facevano problema le persone che diffondevano una fede errata, malata, distorta, superstiziosa. Facevano problema l’eresia e il distacco dalla Chiesa. Su questo punto Francesco fu chiarissimo fin dagli inizi della sua avventura cristiana. Mentre tanti riformatori di quel tempo predicavano idee eretiche e invitavano a combattere la Chiesa, suscitando scismi e contestando il magistero, lui seguì la strada della permanenza nella Chiesa, ubbidendo in tutto al Papa ed ai Vescovi, lavorando per la riforma della Comunità cristiana non da fuori ma dal di dentro, incominciando a riformare se stesso. Questa fedeltà alla Chiesa veniva richiesta senza mezzi termini anche a tutti suoi seguaci.
Leggiamo nella Regola non bollata: “Tutti i frati siano cattolici e vivano e parlino cattolicamente. Se qualcuno a parole o a fatti si allontanerà dalla fede e dalla vita cattolica e non se ne sarà emendato, sia espulso totalmente dalla nostra fraternità” (FF 51). Parole chiare.
Di conseguenza, chi intendeva farsi frate, doveva prima essere esaminato diligentemente sulla sua fede, perché fosse quella della Chiesa cattolica, e sulla sua accettazione e pratica dei Sacramenti (Regola Bollata, FF 77).
Questa adesione alla Chiesa, a differenza di altri movimenti del suo tempo, non è stata una debolezza, ma la sua forza, che gli ha permesso di essere poi di fatto un autentico riformatore del mondo cristiano. Scriverà nel Testamento: “Il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a causa del loro ordine, che se mi dovessero perseguitare voglio ricorrere ad essi. E se io avessi tanta sapienza…e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie dove abitano, non voglio predicare contro la loro volontà” (FF 112). Quanto rispetto aveva per ogni sacerdote, anche per quelli meno preparati o poco degni!
Veramente grande è stato Francesco nel mantenersi fedele in tutto ai pastori della Chiesa. Questo gli ha permesso di operare una profonda riforma, confermata ampiamente dalla sua vita santa e dalla sequela di moltissimi uomini e donne che affascinati abbracciarono la sua Regola e il suo stile di vita. Egli è stato un grande riformatore, perché uomo di fede umile e vera volle vivere nell’ubbidienza alla Chiesa del suo tempo.
Veniamo al nostro tempo.
La lettera Enciclica Lumen fidei di papa Francesco afferma chiaramente che la fede autentica non è illusione, non ha soltanto una funzione consolatoria, non vive di emozioni, non si alimenta di soli sentimenti, non deve rimanere un fatto privato.
“Chi crede, vede”, afferma chiaramente il Papa (LF 1). La fede permette di vedere aldilà, oltre il presente e oltre le cose materiali. Essa è una luce che fa conoscere realtà che diversamente non si conoscerebbero o si conoscerebbero solo a fatica. Essa quindi permette di guardare al futuro con speranza e di camminare nella vita sapendo che c’è un avvenire, che ci aspetta un traguardo, che non siamo soli.
La fede sorge da un incontro con il Signore che ci arriva come un dono, da custodire e da vivere. “Nasce quando riceviamo il grande amore di Dio che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà” (LF 26).
E dal momento che la fede contiene sempre una dimensione di oscurità, perché è fede e non visione, il Papa scrive: “La fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino” (LF 57).
Essa è luce, che domanda di fidarsi e di affidarsi a chi sa e ama. E’ dunque grande la fortuna di chi ha la fede, perché non va avanti a tentoni, non ha come guida un destino cieco, il caso, e non ha come traguardo il vuoto, il nulla. No, la fede illumina, lasciandoci nella fatica di credere e nella gioia di vedere. Questa gioia faticosa dona anche la forza umanamente necessaria di poter sperare per vivere. Essa viene accolta più facilmente e viene vissuta più coerentemente, quando il cuore ama e si sente amato. Chi ama capisce, diceva s. Agostino.
Inoltre, chi ama sa anche testimoniare, come dimostra tutta la vita di Francesco. Scrive il Papa: “La fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio” (LF 22). La vita del Poverello di Assisi è stata una concretizzazione di questa dimensione pubblica della fede cristiana.
Due anni prima di morire Francesco fece una Quaresima sul monte della Verna, dalla festa dell’Assunta, 15 di agosto, alla festa di S. Michele arcangelo, 29 settembre, e durante quelle settimane ricevette il dono delle stigmate di Cristo nel suo corpo. In seguito compose alcune “Laudi” al Dio Altissimo, che lui stesso scrisse su un foglio, volendo ringraziare il Signore per i benefici a lui concessi. Meritano di essere ricordate alcune di queste lodi, nate dalla sua fede luminosa e dal suo cuore totalmente donato a Cristo.
“Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende. Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei l’Altissimo. Tu sei il Re onnipotente. Tu sei il Padre santo, Re del cielo e della terra….Tu sei bellezza. Tu sei mitezza. Tu sei rifugio. Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore” (FF 261). Quale spiritualità, quale anima mistica in queste parole!
Ci aiuti S. Francesco a fare nostre queste sue parole di fede e di amore, le metta nella nostra mente e le deponga nel nostro cuore, perché possiamo credere con gioia e amare con generosità, sul suo esempio e con la sua intercessione”.