“Dio e lo Stato. L’Europa tra laicità e laicismo”. È questo il tema principale sul quale i presidenti delle Conferenze episcopali di tutta Europa si stanno confrontando a Bratislava nell’ambito dell’assemblea plenaria del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali europee). Inevitabili i riferimenti al delicato rapporto tra Stato e Chiesa, allo stile con cui i cristiani sono chiamati a vivere da protagonisti nella società europea, alle ripetute accuse d’ingerenza, al messaggio che la Chiesa vuole offrire all’uomo moderno. Ne abbiamo parlato con il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e vice-presidente del Ccee.
I vescovi europei stanno parlando del rapporto tra la Chiesa e lo Stato, di laicità e laicismo. Quale impulso per l’Italia?
“C’è una grande voglia, una grande coscienza del nostro dovere di pastori e di Chiesa di essere parte viva e propositiva del cammino della società, in ordine al bene comune. La Chiesa ha qualcosa da dire, di proprio, di specifico che deriva dal Vangelo ma che non è strettamente ed esclusivamente evangelico, nel senso che anche la ragione può avvicinarsi e accogliere una visione antropologica che è quella di Cristo stesso. È un patrimonio che noi abbiamo il dovere di portare alla libertà e alla riflessione di tutte le istituzioni con rispetto e con convinzione”.
Su quali basi si gioca il rapporto tra Chiesa e Stato senza rischiare di entrare nella critica che la Chiesa s’intromette troppo?
“Mi pare secondo tre modalità. Innanzitutto l’annuncio gioioso del Vangelo. Annunciare Cristo al mondo significa rivelare il volto di Dio e il vero volto dell’uomo. Questa è la radice, il fondamento. Un altro modo è quello di esplicitare le conseguenze antropologiche, etiche e sociali del messaggio del Vangelo proprio perché Cristo è il Dio con noi, è venuto per parlare all’uomo. La fede c’entra con la vita, non è puro sentimento che non interesserebbe poi a nessuno. Questa esplicitazione a volte è sentita come problematica perché sembra un giudizio su leggi da fare o non da fare. Ma non è affatto una forma d’ingerenza e non vuole esserlo. È semplicemente l’esplicitazione dell’evangelizzazione che è compito della Chiesa, in termini di antropologia, di etica e di società. Infine, sottolineo l’importanza della formazione alla dottrina sociale della Chiesa, perché senza una sua visione acquisita, interiorizzata e organica, non ci possono essere laici maturi in grado di portare il loro contributo dentro ai gangli della società, della politica e dell’economia”.
Torna sempre il dibattito sui crocifissi nelle aule scolastiche, così come sull’impegno dei cattolici in politica. Dove sta il giusto equilibrio?
“Il Concilio Vaticano II ha ribadito la libertà religiosa e la libertà di coscienza. Per cui ognuno ha il diritto di manifestare la propria fede, che ha una valenza privata ma anche pubblica. A questo principio attiene l’obiezione di coscienza per cui di fronte a certe leggi che vanno contro la propria coscienza e a certi valori fondamentali, la coscienza ha un primato e lo Stato e la società devono tenerne conto. In secondo luogo, dobbiamo tenere conto in particolare in Europa delle nostre radici, che sono la nostra memoria. Essa non può essere annullata perché si annullerebbe anche la possibilità di guardare al domani. Dove andiamo, se non sappiamo da dove veniamo? I simboli religiosi sono il nostro modo specifico di pensare l’uomo. La questione, quindi, entra in un quadro più ampio che non è esclusivamente confessionale bensì culturale e sociale, perché la dimensione religiosa fa parte, è intrinseca della dimensione umana”.
Ieri l’Italia ha ricordato il suo patrono, san Francesco. Cosa ha da dire questo santo alla Chiesa di oggi?
“San Francesco ha avuto una capacità d’incidenza sulla Chiesa ma anche sulla società civile. La sua è stata un’irruzione di luce, di fuoco, di fede e di un modo di vivere. Uno stile universale, di essenzialità e sobrietà, di primato di Dio e primato dell’uomo sulla strutture e sui beni materiali. E poi san Francesco dice che l’uomo non è solo ma vive dentro una comunità e dentro anche una creazione che è il giardino, la casa di Dio. L’uomo deve goderne, rispettandola e curandola. Dunque, ristabilire il primato di Dio nella propria vita, prendere cura dei fratelli superando l’individualismo e vivere dentro al creato come fosse la propria casa”.
E invece Papa Francesco cosa può dare alla Chiesa in Europa?
“La ricchezza che il Santo Padre sta dando con la sua persona è sotto gli occhi di tutti ed è molteplice nei suoi messaggi, nei gesti significativi, nello stile. Metto, però, in evidenza un aspetto: Papa Francesco può essere un buon farmaco per un certo atteggiamento sofisticato della cultura europea. Quell’atteggiamento per cui l’Europa fa mille distinzioni e poi rischia di perdersi, diventando autoreferenziale. Forse Papa Francesco è una buona terapia d’urto propositiva che, spero, andrà a sciogliere, portando una carica maggiore in termini di essenzialità e di sostanza”.