L’imperativo delle memoria, non solo del ricordo rammemorante, ha sorretto la storia di Israele nei suoi momenti gioiosi e, soprattutto, nei terribili frangenti angosciosi in cui solo la fede dei Padri poteva sostenere il popolo e dargli forza. Se ci limitassimo ad una menzione di agenda non avremmo compreso nulla e rischieremmo quella superficialità che si lascia adescare dall’ideologia quando coglie nel segno qualche desiderio o ambizione nascosta.
Il taglio di Francesco, vescovo di Roma, colpisce invece nel segno perché poggia sul passato ma fa leva sui giorni e sulle generazioni che devono arrivare. Quante volte ci siamo sentiti ripetere “historia magistra vitae” o più semplicemente “l’esperienza insegna”, eppure nei rapporti con il popolo eletto siamo stati deficitari quando non aggressori, in nome di una fedeltà errata alla parola del Vangelo e abbiamo messo in atto “autentiche ingiustizie”. Attardarsi a rivolgere lo sguardo all’indietro, rischierebbe di far emergere quel disastroso stato d’animo che definiamo “leccarsi le ferite” e ci impedisce di agire.
Il monito del Pastore è ben altro “l’odierna commemorazione potrebbe essere definita quindi come una “memoria futuri”, un appello alle nuove generazioni a non appiattire la propria esistenza, a non lasciarsi trascinare da ideologie, a non giustificare mai il male che incontriamo, a non abbassare la guardia contro l’antisemitismo e contro il razzismo, qualunque sia la loro provenienza”.
Li portiamo dentro di noi e parlano chiaro, la stessa morte di Priebke dovrebbe scuoterci perché, nulla avviene a caso per il credente, e lo stesso congedo dalla storia di una persona gravata da tante evidenti colpe, agghiaccia quando avviene in concomitanza di questa memoria e di questo incontro.
È possibile che nell’animo dell’aguzzino non sia mai affiorato un pentimento? Che un rimorso non gli abbia roso la coscienza? Quale però era la sua coscienza? Un’incoscienza la direi, modellata su quanto dobbiamo combattere con tutte le nostre forze: “L’antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna”.
Vi sarà chi indagherà sulle cause di questo fenomeno storico e religioso, chi ne comprenderà la valenza teologica, chi saprà tracciarne la sordida evoluzione e involuzione nei secoli, anche questo lavoro apporterà il suo contributo perché non esistano più persone come Priebke che infanghino l’essere umano, a qualsiasi lingua e nazione appartengano.
Si prospetta così quell’ambito che ebrei e cristiani, insieme, sono chiamati a coltivare, come di fatto stanno già facendo, in piena serenità e amicizia, per esempio, con il gruppo guidato dal cardinale W. Kasper che si incontra dal 2005 e ormai ha già dato alle stampe un voluminoso tomo per i tipi dell’Università Gregoriana e che può essere considerato una guida odierna ed autorevole: Gesù Cristo e il popolo ebraico. Interrogativi per la teologia di oggi.
È uno degli aspetti del nostro rapporto perché “è importante approfondire, da entrambe le parti, la riflessione teologica attraverso il dialogo”. L’altro, strettamente connesso, è il “dialogo vitale, quello dell’esperienza quotidiana, che non è meno fondamentale”. Come dire che c’è spazio per chiunque, non solo per teologi ed ecumenisti, ma per ogni singola persona che, dinanzi all’orrore di quanto avvenuto, si senta responsabile della propria coscienza, pensiero e agire e ne tiri le legittime e doverose conseguenze. Si staglia come l’unica strada per appartenere a quella schiera, numerosa anche se silente, di quelle persone che Francesco ha indicato come “uomini saggi e generosi, capaci di riconoscere la chiamata del Signore e di incamminarsi con coraggio su sentieri nuovi di incontro e di dialogo”.
Non basta vagamente rammaricarsi, non basta dolersi, bisogna agire e creare nuovi e più sani rapporti, intrisi di rispetto, in primo luogo per lo Spirito stesso che illumina le coscienze e guida la storia.
Francesco lo ha fatto e lo sta facendo: ascoltiamolo e seguiamolo.