domenico pompiliA 50 anni dall’Inter Mirifica, siamo di fronte “a un cambio d’epoca, non a un’epoca di cambiamenti”, come dimostra la rivoluzione dei media digitali: allora come oggi, però, gli strumenti della comunicazione sociale non sono “un fatto tecnico, ma una questione antropologica, dove la variabile umana appare decisiva”. Un esempio per tutti: Papa Francesco, il cui segreto “non sta nell’assunzione di strategie comunicative particolari, ma nell’eloquenza della sua testimonianza personale”. A tracciare un ampio affresco su come è cambiata la comunicazione ecclesiale nell’ultimo mezzo secolo è stato monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, aprendo l’incontro per i direttori degli uffici diocesani e gli incaricati regionali del settore. L’incontro è stato anche l’occasione per presentare la terza revisione del corso Anicec per animatori della cultura e della comunicazione (www.anicec.it), a cui da quest’anno ci si può iscrivere in ogni momento, modulando on line la frequenza delle lezioni e degli esami.

Comunicare senza filtri. Con Papa Francesco, ha osservato monsignor Pompili, “la comunicazione è diretta e sembra saltare la mediazione degli esperti per giungere senza filtri alla gente. Sembrerebbe la fine della lavoro giornalistico e invece è forse la spia di un modo nuovo di lavorare, ispirato a un modello più relazionale”. Di qui la necessità, per i media, di adottare il “paradigma relazionale”, che “è incentrato sulla dignità della persona, dignità che la rende soggetto del diritto all’informazione e alla verità”. Un “modello”, questo, che “parte da una concezione del giornalismo inteso come servizio di pubblico interesse, finalizzato a stimolare l’agire libero dei cittadini”. Nell’era dei social media, in altre parole, bisogna operare per “la costruzione di un’opinione pubblica che faccia crescere il protagonismo, in primo luogo dei laici, e si allontani da certa modalità informativa che, con eccessiva disinvoltura assume i toni del gossip e della polemica, o l’intransigenza rigida dell’ideologia”.

Informare piuttosto che apparire. “Non c’interessa colpire i media, ma capire i giornalisti ed essere capiti dai giornalisti”, ha sintetizzato monsignor Pompili, secondo il quale quello relazionale è “un modello equilibrato il cui principale obiettivo è quello d’informare rigorosamente piuttosto che apparire”. Ai comunicatori cattolici, “ciò che veramente interessa è che ogni apparizione sui media serva ad aumentare la comprensione reciproca: non c’è nel modello bidirezionale l’ansia di comparire a ogni costo. Ogni intervento è soppesato per il suo valore e la sua efficacia nel contesto di una relazione a lungo termine”. In questa prospettiva, “l’attività di comunicazione delle istituzioni, Chiesa compresa, è utile a fornire criteri d’interpretazione e orientamento, per favorire le scelte delle persone”.

A servizio della gente. “Nello spazio pubblico la comunicazione ecclesiale deve essere a servizio della gente e così renderà un contributo anche alla società nel suo insieme”. Monsignor Pompili è partito da questa affermazione, per assegnare ai direttori Ucs il compito di “alimentare e formare l’opinione pubblica”. “Predominio del pensare sull’azione; priorità della relazione sul risultato; lavoro strutturale e a lunga scadenza”. Queste le tre indicazioni ai comunicatori cattolici, esortati a guardarsi dal “protagonismo” e a “creare percorsi, più che occupare spazi”. “Non è tanto importante quanto si ottiene dai media, quanto quello che si è offerto”, ha detto monsignor Pompili, che ha invitato i direttori degli Ucs a “creare rapporti stabili tra tutti gli operatori della comunicazione” del loro territorio e a “coltivare lo sforzo di un pensiero che per non essere formattato deve concedersi spazi di riflessione”, in modo da “evitare il pret-a-porter, tanto seducente quanto inefficace”.

Comunicare è condividere. Papa Francesco “non si lascia intimorire dalle grandi distanze, e ci ha consegnato un compito fondamentale rispetto allo spazio: uscire, andare verso le periferie, verso chi è nella sofferenza, verso i lontani; e avvicinare, ridurre le distanze, abbracciare”. Altra dimensione rivoluzionata dal Papa, quella del tempo: “Con le sue catechesi quotidiane a Santa Marta e l’Angelus domenicale – ha detto Pompili – Papa Francesco ci restituisce un ritmo comune che accompagna, scandisce e risacralizza il tempo ordinario così come l’evento straordinario”. Per Papa Francesco, in una parola, “comunicare è condividere”, anche valorizzando la dimensione digitale, che “non esclude ma anzi potenzia l’incontro”, come dimostra il successo dei suoi “tweet”.

Ripensare il lavoro. “In questa stagione segnata dall’evoluzione digitale della specie e da un magistero che rilancia la priorità della relazione sui contenuti, c’è spazio e motivazione per ripensare il lavoro dell’Ufficio per le comunicazioni sociali?”. A questa domanda di monsignor Pompili hanno cercato di rispondere i direttori degli Ucs. Da don Giorgio Zucchelli, della diocesi di Crema, è venuta la proposta di una “comunicazione integrata”, all’interno e all’esterno delle diocesi; per “camminare con gli altri partendo da noi stessi”, ha aggiunto Chiara Genisio, della diocesi di Torino. “Noi formiamo informando”, ha ricordato Francesco Zanotti, della diocesi di Cesena-Sarsina, mentre Antonio Chimenti, della diocesi di Monreale, si è chiesto quante diocesi abbiano fatto “un piano a lungo termine” per la comunicazione.

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