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Sacerdoti sposati? Non risolve il problema delle vocazioni

Di Maria Chiara Biagioni
Per alcuni un tabù di cui non parlare, per altri un motivo di eccessiva curiosità, per altri ancora la soluzione a tutti i problemi. Ecco come sono presentati i sacerdoti orientali cattolici sposati. Figure familiari nel mondo delle Chiese cattoliche orientali dove da sempre animano le comunità ecclesiali. Sono tanti. Vivono a fianco dei sacerdoti celibi, portano all’anulare la fede nuziale, vestono talari e clergyman, celebrano la messa e tutti sono perfettamente a loro agio nel loro stato.
Ne parliamo allora con monsignor Cyril Vasil’, segretario della Congregazione per le Chiese orientali. È un figlio spirituale della Chiesa slovacca e figlio di un sacerdote sposato. “Non distinguerei un contributo specifico – esordisce subito, prima di affrontare la questione -. Un sacerdote è sempre un sacerdote, punto di riferimento spirituale della propria comunità. Certe differenze sottolineano la varietà e la bellezza della Chiesa. Come regina rivestita nella veste splendida e variegata. Questa è la bellezza della varietà. E rispettarla, vuol dire non forzare, non cambiare o snaturare le forme e le culture”.
È possibile secondo lei poter portare questa tradizione in Occidente?
“Se parliamo di possibilità, tutto è possibile. Se parliamo invece di utilità e opportunità sarebbe invece da discuterne. Questo modello di vita sacerdotale corrisponde a una certa tradizione storica e come tale è percepita dalla gente. Non sarebbe facile immetterla in un altro contesto perché risulterebbe come importata, così come sarebbe considerata importata una vita obbligatoria celibataria nelle chiese orientali. Sono piuttosto del parere che è bene che ogni Chiesa ‘sui iuris’ – sia latina che le chiese orientali – continui a sviluppare quei doni particolari che ha, con le sue caratteristiche”.
Da molti questa possibilità è vista anche come una soluzione alla carenza di vocazioni.
“L’offerta del sacerdozio agli sposati non risolve il problema delle vocazioni. Lo attestano studi approfonditi che sono stati fatti a livello statistico. Se si guarda ai territori dove c’è la presenza di clero orientale sposato e clero latino celibatario, la curva vocazionale – corrisponde perfettamente in entrambi. Perciò non è questo il problema. È uno dei tanti luoghi comuni che sarebbe utile sfatare. Se c’è una vocazione al sacerdozio, essa si realizza nella propria Chiesa a prescindere dalla questione del celibato o meno”.
Anche i sacerdoti sposati divorziano. Quale incidenza ha questo fenomeno?
“Sono casi, grazie a Dio, marginali, che risentono delle generali difficoltà matrimoniali. Certamente nella famiglia di un sacerdote, un’eventuale crisi della vita familiare va seguita con maggiore responsabilità e cautela. La vita familiare di un sacerdote, infatti, non è suo affare privato ma implica il suo ruolo nella comunità ecclesiale e perciò un eventuale caso di difficoltà va prima di tutto prevenuto e poi seguito. Del resto, il matrimonio oggi è in crisi e i giovani che oggi entrano in seminario, vivono in un contesto sociale e culturale che pone difficoltà sempre nuove. Ciò comporta una preparazione adeguata di tutto il clero, non solo intellettuale ma anche spirituale e psicologica”.
Quali i casi più frequenti?
“Le situazioni sono complesse e vanno verificate. Un discorso è quando un sacerdote si trova in una situazione familiare e senza colpa – anche se in un matrimonio non si può dire mai – il matrimonio fallisce e un altro quando invece è il sacerdote la causa del fallimento. Nel secondo dei casi questo implica che il sacerdote non continuerà l’esercizio del sacerdozio. Quando invece non si può parlare di colpa del sacerdote, ma piuttosto di una ferita causata da altri, spetta al prudente giudizio del suo vescovo verificare e provvedere in che modo si può salvare la sua vita sacerdotale”.
E le mogli?
“Si suppone che una ragazza che sceglie questo tipo di vita sia ben conscia della particolare vocazione; sia già in qualche modo convinta e imbarcata nella barca della Chiesa e ciò esige una preparazione, che viene realizzata non tanto in maniera istituzionale ma piuttosto attraverso un’adeguata e previa formazione psicologica e umana. Voglio dire che la moglie non può percepire il marito come uno che va a lavorare ma come un uomo che vive la sua vocazione. E lo stesso vale anche per i figli”.
Una vita di fede così radicale come quella vissuta quando nel nucleo c’è un sacerdote, cambia la famiglia?
“La fede o c’è o non c’è. Non c’è una fede ‘radicale’ e una fede ‘liberale’. Ogni famiglia cristiana è chiamata a vivere la fede in modo ‘radicale’, con la consapevolezza che se vive con fede si ritrova con le stesse difficoltà e gli stessi vantaggi che derivano dalla vita di fede della famiglia di un sacerdote. Non vedo anche qui una particolare differenza”.
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