Se non fosse passata da un bel pezzo la mezzanotte, domenica sera avrei acceso subito il lettore dvd per vedere “La strada”, e risentire gli affascinanti dialoghi fra il matto e Gelsomina. È stato il primo immediato effetto seguito alla bella visione di “Viva Fellini”, lo speciale Tg1 firmato da Nevio Casadio, con la splendida fotografia di Marco Colonna.
Per un’ora mi sono ritrovato immerso nella magia del regista riminese, conosciuto e stimato in tutto il mondo. Pesco dai ricordi. Ero in Giappone, in visita alla missione di padre Tarcisio Canducci e cercavo con fatica di far comprendere a un giapponese che mi accoglieva che venivo da Rimini. Dopo mezz’ora di spiegazioni… mare Adriatico, fra Venezia e Roma… Mi illuminai e dissi: “Fellini Amarcord”. Il volto del mio interlocutore si illuminò e le spalle accompagnarono nel chinarsi il suo sorriso. Fellini è Rimini, Rimini è Fellini, Fellini è il mondo, Rimini è il mondo.
Proprio per questo, il filmato di Casadio sembra insistere molto sul rapporto complicato fra il Regista e la sua Città, prima e soprattutto dopo la morte di Federico. Non condivido il giudizio negativo su questo rapporto, è banale, quasi un luogo comune. Io sono riminese e amo Fellini e come me certo tanti. Eravamo in quarantamila quel giorno di vent’anni fa a salutarlo per le vie del corteo funebre e piazza Cavour si dimostrò troppo piccola per contenerci, mentre commosso Sergio Zavoli ricordava con voce incerta, ma con bellissime parole, l’amico regista. Come pure storico, ma banale, il tornare a sottolineare la condanna della Chiesa per “La dolce vita” e farla assolvere nel 2010 da un imbarazzato cardinale Ravasi. E pensare che già nel 1965, appena cinque anni dopo l’uscita del film, “La dolce vita” era in programma nei cineforum dei seminari, compreso quello di Rimini. Chi mi ha fatto conoscere e amare Fellini è proprio quella Chiesa descritta come nemica del genio riminese.
Sono però passati vent’anni da quel 31 ottobre 1993, giorno della morte di Fellini e Rimini si sta specchiando ancora nella sua incapacità di costruire intorno alla figura del maestro un benché minimo progetto culturale, turistico, imprenditoriale.
È arrivata l’università, ma nessun corso di cinematografia (cosa che invece ha fatto la “madre” Bologna, sic!), non c’è un luogo dove “incontrare” Fellini, vedere i suoi film, studiarlo, raccogliere testimonianze… Arriverà il Museo? Rinascerà la Fondazione? Vedrà la luce il nuovo Fulgor? Svegliati Rimini. Vent’anni sono troppi anche per una città abituata a donare una casa sul porto, annunciarlo alla stampa e dimenticarsi di acquistarla.
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