Come ha avuto origine il ministero episcopale? Chi sono i vescovi? Qual è la loro missione all’interno della comunità cristiana?
È stato Gesù stesso a chiamare alcuni uomini perché gli stessero vicino e perché annunciassero agli altri uomini la sua parola. Leggiamo infatti al numero 19: “Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio (cfr. Mc 3,13-19; Mt 10,1-42); ne fece i suoi apostoli (cfr. Lc 6,13) dando loro la forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro (cfr. Gv 21 15-17)”.
A questo primo collegio composto di dodici persone con a capo Pietro, subentrarono, alla morte degli apostoli, i vescovi come chiarisce il numero 20: gli apostoli “si scelsero di questi uomini e in seguito diedero disposizione che dopo la loro morte altri uomini subentrassero al loro posto”. Pertanto l’odierno corpo episcopale, che si compone di circa 5.000 vescovi con a capo Papa Francesco, è, grazie alla successione apostolica, in continuità storica col collegio apostolico presieduto da Pietro. Leggiamo infatti ancora al numero 20: “Come quindi è permanente l’ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori, cosi è permanente l’ufficio degli apostoli di pascere la Chiesa, da esercitarsi in perpetuo dal sacro ordine dei Vescovi”.
È compito specifico dei vescovi insegnare (munus docendi), santificare (munus santificandi) e governare (munus regnandi).
Per quanto riguarda il munus docendi, LG 25 afferma: “Tra i principali doveri dei vescovi eccelle la predicazione del Vangelo. I vescovi, infatti, sono gli araldi della fede che portano a Cristo nuovi discepoli; sono dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, la illustrano alla luce dello Spirito Santo, traendo fuori dal tesoro della Rivelazione cose nuove e vecchie (cfr. Mt 13,52), la fanno fruttificare e vegliano per tenere lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano (cfr. 2 Tm 4,1-4)”.
Come per gli apostoli l’Ultima Cena fu il culmine dell’esperienza di sequela e di amore per Gesù, così anche per i vescovi il sacramento dell’Eucaristia viene celebrato perché il popolo cristiano sia alimentato e santificato come espresso in LG 26: “Il vescovo, insignito della pienezza del sacramento dell’ordine, è l’economo della grazia del supremo sacerdozio specialmente nell’eucaristia, che offre egli stesso o fa offrire e della quale la Chiesa continuamente vive e cresce”.
Infine i vescovi esercitano il munus regnandi con spirito di servizio verso la comunità di fedeli loro assegnata, come ribadito in LG 27: “I vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate come vicari e legati di Cristo [94], col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è più grande si deve fare come il più piccolo, e chi è il capo, come chi serve (cfr. Lc 22,26-27)”.
Svolgiamo n’ultima considerazione sulla realtà della diocesi dove il vescovo svolge il suo servizio pastorale. Essa, alla luce degli insegnamenti conciliari, è definita dal Codice di Diritto Canonico in questo modo: “La diocesi è una porzione del popolo di Dio, affidata alle cure pastorali del vescovo, coadiuvato dai suoi presbiteri, in modo che, aderendo al proprio Pastore, e, per mezzo del Vangelo e della SS. Eucaristia, unita nello Spirito Santo, costituisca una Chiesa particolare, nella quale è presente e opera la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e apostolica”.
Il canone 369 appena citato ci dà una definizione molto ricca e ampia di diocesi. Solitamente, agganciandosi al linguaggio giuridico tipico dell’età preconciliare, si usa definire la diocesi il territorio sul quale il vescovo esercita il suo potere. Certamente la diocesi è anche questo, ma è molto di più.
Nel testo, non a caso, si usa la parola “porzione” e non “parte”. Per capire l’importanza di questa parola possiamo fare un esempio: non è la stessa cosa dire “una porzione di torta” o “una parte del corpo”, perché nella prima espressione la porzione conserva ogni caratteristica del tutto, mentre la parte non ha questa specificità. Con ciò vogliamo dire che nella diocesi è presente e operante tutta l’essenza della Chiesa.
Il testo indica poi l’unità che ci deve essere fra il presbiterio e il vescovo ed evidenzia quale sia l’anima della diocesi: l’annuncio della Parola di Dio e la Celebrazione Eucaristica. La diocesi dunque non è (solamente) una realtà giuridico-amministrativa o sociologia, ma più pienamente teologica e “divina”: solo la parola che in essa risuona e i segni eucaristici del pane e del vino la rendono una realtà unica e differente rispetto a tutte le realtà umane. Senza Parola e senza Eucaristia, per dirla con papa Francesco, la chiesa sarebbe una ONG