È tornata la “bolla” di Internet. L’esordio con il botto della quotazione in borsa di Twitter (offerta a poco più di venticinque dollari, è schizzata sopra i 45 dollari per azione nei primi minuti di contrattazione a Wall Street) ha fatto saltare sulla sedia gli esperti di cose finanziarie e gli operatori del mondo della comunicazione. Già si comincia a parlare di una “bolla 2.0”, in riferimento al balzo finanziario dei social network. Twitter, il medium 2.0 preferito dalla classe dirigente (in America è usatissimo da Obama e da Hillary Clinton e in Italia il premier Enrico Letta e Matteo Renzi non fanno passare un giorno senza un tweet) ha solo 232 milioni di utenti e i suoi ricavi arrivano a 422 milioni di dollari ma la quotazione da record al Nyse ha portato il valore di mercato della società dei cinguettii a qualcosa come 18 miliardi di dollari. Il suo rivale più diretto, il gigante Facebook, all’epoca della sua Ipo (Initial public offering, offerta iniziale pubblica di azioni) venne valutata complessivamente dal mercato degli investitori una cifra “monstre” di 104 miliardi di dollari contro soli (si fa per dire) 3,7 miliardi di fatturato.
Sull’altare del “trend”. I numeri sono impressionanti anche perché, nella percezione dell’uomo della strada, sono basati sul nulla. Si tratta di aziende “piccole”, con strutture molto leggere, che producono un traffico virtuale ed esagerato grazie ai contenuti realizzati dagli utenti e non ad un prodotto proprio (i post su Facebook o i cinguettii di 140 caratteri su Twitter). La follia finanziaria che spinge gli investitori a comprare le azioni dei social network si riesce a spiegare quindi solo con il concetto di “trend”, la tendenza e la velocità della crescita dei ricavi di queste imprese. La Ipo di Facebook solo un anno fa, per esempio, andò in modo diverso da quella di Twitter. Gli analisti la definirono un mezzo “flop”: le azioni furono piazzate ad un prezzo inferiore dell’offerta anche se ora le quotazioni della dot.com di Mark Zuckerberg sono risalite di circa il 30%. Secondo Henry Blodget di “Business Insider” (un analista che ha predetto con esattezza sorprendente il “botto” di Twitter), la spiegazione è proprio nel “trend”. Twitter, secondo Blodget, è un’azienda molto giovane, appena agli inizi, e quindi i suoi tassi di crescita possono essere ancora molto significativi. Questo spiega l’entusiasmo del mercato. Facebook, invece, quando lanciò la propria Ipo nel 2012, era molto strutturata e aveva già raggiunto un importante livello di sviluppo e quindi aveva poche chance di crescita ulteriore. Il problema vero, ha spiegato ieri Blodget, è però nel medio termine. Facebook è leader del mercato del web 2.0 con 200 milioni di utenti attivi ogni mese solo negli Usa, contro i 50 milioni di Twitter. Le sue azioni infatti, dopo la falsa partenza, sono risalite più lentamente ma con decisione e si sono piazzate ad un valore interessante. Per Twitter invece le sfide sono ancora tutte da vincere, nella crescita del numero degli iscritti (in Italia sono un paio di milioni contro i quasi venti di Facebook) e nel modello di business.
Il modello di business è il mistero più grande. La vendita di spazi commerciali per i “tweet” promozionali sembra veramente una misera cosa. Un solo break pubblicitario in una serie tv di medio successo raggiunge in un colpo solo una comunità di utenti vastissima senza particolari problemi. Per Twitter le cose invece sono più complicate. Gli iscritti che vantano una comunità di “follower” vasta come una platea televisiva di medio livello sono pochissimi nel mondo. Il Papa, Lady Gaga e pochi altri. Una piattaforma difficile da gestire. La madre di tutte le bolle, Google, intanto ha cambiato strategia. Continua a vivere sui contenuti degli altri (il motore di ricerca, la posta elettronica, Youtube) ma da tempo ha cominciato a diversificare il prodotto e a variare il modello di business. A quindici anni dalla sua fondazione, per esempio, ha varato una propria linea di telefonini. Una sorpresa che ha fatto parlare gli esperti di una “seconda vita di “Google”. Con Twitter invece siamo ancora agli inizi, con la speranza che la “bolla 2.0” non finisca per esplodere come la prima.