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“Gaza merita di vivere!” Grido di dolore

Di Daniele Rocchi

“Gaza non deve essere dimenticata! La situazione sta peggiorando sempre di più. Dopo la seconda rivoluzione egiziana, quella che ha deposto il presidente Morsi, le gallerie che collegavano Gaza all’Egitto sono state quasi tutte distrutte su input del governo e la popolazione non ha più possibilità di far entrare prodotti e merci necessari alla vita quotidiana”. Padre Raed Abusahlia è il direttore di Caritas Gerusalemme e al Sir fa il punto delle condizioni di vita nella Striscia, all’indomani della creazione, a Gerusalemme, di una task force formata da una dozzina di organizzazioni umanitarie cattoliche che dovrà stilare un quadro preciso delle emergenze e dei bisogni della popolazione, cristiana (solo 1700 fedeli di cui meno di 300 cattolici) e non, della Striscia. “Lunga 45 chilometri e larga da sei a dodici, con il suo milione mezzo di abitanti, ma c’è chi dice che siano due, Gaza – ribadisce il direttore – è la più grande prigione del mondo a cielo aperto. Il livello di miseria è altissimo specie ora che all’embargo israeliano si è aggiunto il blocco egiziano”.
La lista delle emergenze è lunga e drammatica. Elencarla è un compito al quale padre Abusahlia non si sottrae, anzi la sua denuncia si fa più vibrante anche nei toni di voce: “A Gaza mancano carburanti e combustibili, l’energia elettrica viene erogata solo per poche ore al giorno, il lavoro resta un miraggio e muoversi è molto difficile, dal momento che non si può né entrare né uscire”. Ad aggravare le condizioni di vita della popolazione è l’inquinamento: “tutto il sistema fognario di Gaza e degli insediamenti vicini sversa direttamente in mare, inquinandolo”. Il direttore della Caritas è reduce da una visita, all’inizio dell’estate, nella Striscia ed il ricordo è nitido: “Anche le coste di Gaza sono un disastro ecologico. In ogni momento potrebbe sprigionarsi un’infezione o un’epidemia. Gli scarichi a mare hanno ucciso i pesci e a causa dell’embargo le navi dei pescatori non possono spingersi in mare aperto”. E adesso gravi problemi si stanno presentando per l’acqua potabile ritenuta imbevibile. Le falde, infatti, sono contaminate da acqua salmastra e da infiltrazioni dei liquami di fogna e spazzatura, e anche l’acqua desalinizzata, venduta a caro prezzo, non è in realtà potabile. Secondo alcune notizie di agenzia, che riportano le dichiarazioni di Ateya al-Bursh, direttore dei laboratori ambientali di Gaza, “l’acqua è chimicamente e fisicamente inquinata”.
Nel frattempo la Caritas, con la piccola comunità cristiana locale e le agenzie internazionali di ispirazione cristiana, continua a operare a Gaza per alleviare le sofferenze della popolazione. “Un’opera di vicinanza a tutta la gente della Striscia – afferma il direttore – molto apprezzata”. Diversi i campi di azione: in quello sanitario è attivo un centro medico insediato nelle aree dei campi profughi ed una clinica mobile, dove sono impiegati poco meno di venti operatori. Nel campo dell’assistenza psicologica e materiale operano, invece, gruppi di soccorso psicologico per i bambini traumatizzati dal conflitto e i volontari incaricati di distribuire pacchi viveri e piccole somme di denaro alle famiglie più in difficoltà. “Purtroppo – dice padre Abusahlia – pensiamo che questa opera umanitaria sia solo una goccia nell’oceano di questo conflitto. Oggi gli occhi del mondo sono rivolti alla Siria, ma a Gaza l’emergenza continua ed i bisogni aumentano giorno dopo giorno. Gaza è un problema anche della comunità internazionale che però ha la memoria corta. Gaza merita di vivere”. Il viaggio di Kerry in Terra Santa per i negoziati di pace? “Non ci sarà per il momento nessuna pace, nessun negoziato. Non è pessimismo il mio, ma realismo!”. A lavorare per la pace, oggi, è rimasta solo la solidarietà
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