Si fa molto parlare in questi giorni della Conferenza di pace per la Siria, Ginevra 2, fissata inizialmente per il 23 novembre e poi rinviata. Sul suo effettivo svolgimento pesano, infatti, le divergenze all’interno dell’opposizione, che solo questa mattina sembrerebbe aver sciolto le riserve in merito alla sua presenza, e le decisioni del presidente Assad e il suo eventuale ruolo nella transizione politica del Paese. In questa situazione di stallo diplomatico, se da una parte risultano chiare tutte le diversità di vedute tra i principali Paesi (Usa e Russia in testa) su come dirimere la crisi, dall’altra, però, emerge, con sempre maggiore evidenza, l’impegno della Santa Sede nel cercare di favorire il dialogo tra le parti in lotta. Prova dell’interessamento della Santa Sede per la situazione in Siria in particolare e per il Medio Oriente in generale sono le udienze che Papa Francesco ha concesso in questi ultimi mesi ai più importanti leader politici mediorientali, il presidente israeliano Peres, quello libanese Sleiman, il palestinese Abu Mazen e il re di Giordania, Abdullah II bin Al Hussein. E sembrerebbe prevista anche quella con il premier israeliano Netanyahu. Un’azione diplomatica che viaggia in parallelo con quella concreta degli aiuti materiali. Secondo una recente nota di Cor Unum sono 72 i milioni di dollari stanziati dalle organizzazioni umanitarie cattoliche per la crisi in Siria e nelle regioni limitrofe alla data del 9 ottobre. Su questi argomenti abbiamo intervistato monsignor Dominique Mamberti, segretario per i rapporti con gli Stati della Santa Sede.
Eccellenza, lo scorso 5 settembre parlando con i rappresentati diplomatici accreditati presso la Santa Sede, ha ribadito con chiarezza la posizione della Santa Sede nei confronti della crisi siriana, vale a dire insistere sull’importanza di far cessare la violenza come primo passo, per poter poi instaurare un vero dialogo e soluzioni di carattere negoziale. Alla luce degli ultimi sviluppi della crisi siriana ritiene ancora praticabili queste indicazioni?
“Alla luce degli ultimi sviluppi le indicazioni presentate il 5 settembre diventano ancora più praticabili ed urgenti. Sebbene nelle ultime settimane ci siano stati sviluppi positivi riguardo allo spinoso tema delle armi chimiche, va rilevato che esso è solo un aspetto dell’intero problema che è tutto ancora da risolvere. Gli scontri violenti continuano a seminare morte e distruzione e la già insostenibile situazione umanitaria continua a peggiorare. Le previsioni indicano che entro la fine dell’anno la metà della popolazione siriana avrà bisogno di assistenza umanitaria. Si rivela perciò ancora più urgente e necessaria la cessazione della violenza e la priorità dell’impegno per l’assistenza umanitaria alla popolazione sofferente. Inoltre continua a rivelarsi di somma importanza richiamare l’esigenza e l’urgenza del rispetto del diritto umanitario. Non si può rimanere inerti di fronte alle continue violazioni del diritto umanitario, da qualsiasi parte esse provengano. Appare sempre più evidente che non c’è una soluzione militare al conflitto, e si potrà trovare una via di uscita soltanto attraverso il dialogo ed il negoziato delle parti interessate con il sostegno della comunità internazionale. Il fatto che si sia trovato un accordo sul delicato tema dello smantellamento dell’arsenale chimico siriano indica che se c’è la volontà politica si può trovare un accordo sulle altre questioni necessarie per la risoluzione del conflitto”.
Quali altri elementi andrebbero tenuti in considerazione per trovare una strada negoziale che porti alla soluzione giusta e durevole del conflitto in corso?
“Tra i principi generali che dovrebbero orientare la ricerca di una giusta soluzione al conflitto ritengo importante ricordare i punti segnalati durante il menzionato incontro del 5 settembre che sono soprattutto i tre seguenti: è innanzitutto indispensabile adoperarsi per il ripristino del dialogo fra le parti e per la riconciliazione del popolo siriano; occorre poi preservare l’unità del Paese, evitando la costituzione di zone diverse per le varie componenti della società; occorre garantire, accanto all’unità del Paese, anche la sua integrità territoriale. Inoltre sarà importante chiedere a tutti i gruppi – in particolare a quelli che mirano a ricoprire posti di responsabilità nel Paese – di offrire garanzie che nella Siria di domani ci sarà posto per tutti, anche e in particolare per le minoranze, inclusi ovviamente i cristiani. L’applicazione concreta di detto principio potrà assumere varie forme, ma in ogni caso non può essere dimenticata l’importanza del rispetto dei diritti umani e, in particolare, di quello della libertà religiosa. Parimenti, è importante tenere come riferimento il concetto di cittadinanza, in base al quale tutti, indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa, sono alla stessa stregua cittadini di pari dignità, con eguali diritti e doveri”.
Sembra che molti Paesi della comunità internazionale siano più interessati a fornire e a vendere le armi ai due contendenti piuttosto che provare a metterli seduti intorno ad un tavolo. Papa Francesco ha in più di un’occasione denunciato il commercio di armi (anche chimiche) sopra la testa del popolo siriano. Quanto pesa il business degli armamenti nella guerra in corso?
“Come ho già segnalato sembra sempre più evidente che non c’è una soluzione militare al conflitto. In tale senso continuare a fornire armi ai contendenti non fa che contribuire ad aumentare le vittime e le sofferenze del popolo siriano. Se la violenza continua, non si avranno vincitori, ma solo sconfitti. In questo contesto mi piace ricordare le parole di Benedetto XVI nell’incontro con i giornalisti, mentre si stava recando in Libano nel settembre dell’anno scorso: Benedetto XVI si domandava: ‘Che cosa possiamo fare contro la guerra? Diciamo, naturalmente, sempre diffondere il messaggio della pace, chiarire che la violenza non risolve mai un problema e rafforzare le forze della pace’. E aggiungeva: ‘Direi anche che deve finalmente cessare l’importazione di armi: perché senza l’importazione di armi la guerra non potrebbe continuare. Invece di importare le armi, che è un peccato grave, dovremmo importare idee di pace, creatività, trovare soluzioni per accettare ognuno nella sua alterità; dobbiamo quindi rendere visibile nel mondo il rispetto delle religioni, le une delle altre, il rispetto dell’uomo come creatura di Dio, l’amore del prossimo come fondamentale per tutte le religioni. In questo senso, con tutti i gesti possibili, con aiuti anche materiali, aiutare perché cessi la guerra, la violenza, e tutti possano ricostruire il Paese’”.
La piega confessionale presa dal conflitto – con la presenza in campo, al fianco dei ribelli, di formazioni integraliste e jihadiste e la lotta tra sciiti e sunniti – può mettere a rischio la vita delle minoranze all’interno di un futuro assetto siriano? Come evitare il conseguente disgregamento del Paese?
“La presenza crescente in Siria di gruppi estremisti, spesso provenienti da altri Paesi, è effettivamente una causa di particolare preoccupazione. Perciò si rivelerebbe di grande importanza esortare la popolazione e anche i gruppi di opposizione a prendere le distanze da tali estremisti, di isolarli e di opporsi apertamente e chiaramente al terrorismo. L’antidoto migliore contro le tensioni confessionali e il rischio del disgregamento è il dialogo e la riconciliazione. Si rivela, perciò, sempre più pertinente l’insistenza di Papa Francesco sull’educazione nella cultura dell’incontro. Vorrei segnalare in questo contesto l’importanza del dialogo interreligioso che non è una questione degli addetti ai lavori ma è compito di tutti i fedeli. Tuttavia, una particolare responsabilità compete ai leader religiosi per mostrare e far presente che la religione deve essere al servizio della pace e dell’unità e non al servizio della guerra e della divisione. Anche in questo ambito si rivela di particolare importanza il compito dell’educazione. I cristiani da parte loro vogliono continuare ad essere fattori di riconciliazione e di unità e offrire il loro contributo insostituibile al bene comune della società”.
Cosa, realisticamente, potremmo attenderci dalla Conferenza di Ginevra 2, nel caso si svolgesse prossimamente? E qualora ciò avvenisse quali azioni potrebbe mettere in campo la Santa Sede per promuovere una soluzione negoziale? Infine, è prevista una delegazione della Santa Sede ai lavori di Ginevra 2?
“La Santa Sede nell’ambito che le è proprio ha promosso dall’inizio del conflitto siriano una soluzione fondata sul negoziato invitando a superare la logica della violenza e dello scontro con quella del dialogo e della riconciliazione e ha offerto alcuni elementi che considera importanti per la risoluzione del conflitto. In questo senso la Santa Sede auspica e incoraggia la realizzazione della Conferenza di Ginevra 2 con la maggiore partecipazione possibile. Realisticamente non si può pretendere che la Conferenza risolva di colpo un conflitto che è particolarmente complesso e dove sono implicati tanti interessi divergenti da diversi attori non solo locali ma regionali. Tuttavia non c’è un’altra via se non quella della ricerca di un accordo con l’aiuto di tutti. La Conferenza Ginevra 2 può e deve essere un primo passo fondamentale, almeno per avviare un processo che sarà prevedibilmente sofferto. Non sappiamo ancora che forma prenderà detta Conferenza né se la Santa Sede sarà invitata a parteciparvi come Osservatore. In caso affermativo, la Santa Sede invierebbe una Delegazione per mostrare la sua sollecitudine per il bene della cara nazione siriana e per offrire discretamente ogni possibile collaborazione. Tuttavia il grande contributo della Santa Sede e della Chiesa si situa in un altro livello che tocca il profondo dei cuori. Vorrei ricordare la significativa giornata di digiuno e di preghiera per la pace, convocata dal Santo Padre Francesco, che è stata molto bene accolta a livello mondiale e che ha dato tanti frutti di pace. ‘Arma’ principale della Chiesa è la preghiera e la carità. Il contributo più grande è la vita di fede dei credenti che nei diversi ambiti diventano protagonisti della vita sociale alla ricerca del bene di tutti e della pace”.