Abbiamo il piacere di intervistare il Dott. Filippo Cagnetti, ricercatore in matematica alla University of Sussex, a Brighton, in Inghilterra. Il Dott. Cagnetti è nato a San Benedetto del Tronto l’8 Marzo 1975. Dopo la maturità classica conseguita nel 1993 ha frequentato la il corso di laurea in Fisica presso l’università “la Sapienza” di Roma, dove si è laureato nel 2003.
Dott. Cagnetti, dopo quanti anni a distanza dalla laurea ha maturato l’idea di arricchire il suo percorso formativo all’estero e cosa l’ha spinta a lasciare l’Italia?
Subito dopo la laurea ho iniziato un dottorato di ricerca in matematica alla “SISSA” di Trieste. Si tratta di una scuola internazionale, in cui gli studenti vengono da ogni parte del mondo e le lezioni sono tenute in inglese. È stata un’esperienza altamente formativa, durante la quale i docenti mi hanno insegnato a guardare alla comunità scientifica come a una grande famiglia, senza barriere di alcun tipo.
Così, quando alla fine del 2007 ho conseguito il dottorato, ho visto la possibilità di andare all’estero non come una “fuga”, ma come una grande opportunità per incontrare i migliori matematici in circolazione.
Quindi mi sono trasferito alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh fino a Settembre 2009, dove ho insegnato e fatto ricerca. Da lì mi sono spostato all’Instituto Superior Técnico di Lisbona, fino a Marzo 2013, con una parentesi di sei mesi alla University of Texas di Austin. Da Aprile 2013 sono alla University of Sussex, in Inghilterra.
Quali sono i pregi della formazione universitaria negli Stati Uniti e quali differenze ha trovato col sistema italiano?
Le differenze sono davvero molte. Negli Stati Uniti l’università è gestita come un’azienda, con tutti i pro e i contro che questo comporta. Gi studenti, ad esempio, sono trattati come clienti e quindi la loro soddisfazione ha un grande peso nelle decisioni prese. Questo si riflette sull’organizzazione del corso di studi, che è spesso impeccabile: classi poco numerose, esercitazioni corrette e valutate dal professore con cadenza settimanale. Da questo punto di vista l’università americana somiglia più al nostro liceo. Ad esempio, non è possibile rimandare all’infinito un esame e rimanere indietro nel corso degli studi. A fine anno o si passa o si è bocciati.
Naturalmente questo sistema ha degli aspetti negativi. Le tasse, ad esempio, sono molto alte. Spesso gli studenti sono incoraggiati a fare dei mutui, che dovranno pagare negli anni successivi, dopo che avranno cominciato a lavorare. Ricordo alcuni amici americani che non potevano permettersi di lasciare un lavoro ben pagato che detestavano, semplicemente perché altrimenti non sarebbero mai riusciti a saldare i debiti accumulati negli anni di studi.
Cosa ha di positivo il nostro sistema?
Paradossalmente, l’idea americana e inglese di soddisfare il più possibile le richieste degli studenti può andare a discapito degli stessi ragazzi. In alcuni casi questo porta ad abbassare il livello dei corsi, per paura di eccessive proteste. Nel nostro paese questo non accade. A mio avviso il livello medio di preparazione di un laureato italiano è migliore di quello di moltissimi altri paesi.
Quali sono gli aspetti che da un punto di vista professionale l’hanno maggiormente colpita avendo l’opportunità di lavorare all’estero?
La prima sorpresa l’ho avuta quando mi trovavo a Austin, in Texas, e ho ricevuto una telefonata da un’università inglese a cui avevo inviato per posta elettronica il mio curriculum 3 settimane prima. Nonostante non conoscessi nessuno, mi avevano selezionato per fare un colloquio. Si scusavano dello scarso preavviso, ma spiegavano che, se avessi accettato di presentarmi, avrebbero pagato il volo di andata e ritorno Stati Uniti-Inghilterra, un albergo per i giorni di permamenza, e tutte le spese di vitto.
Non ho avuto il posto, ma poi sono stato ad altri colloqui in Inghilterra, tutti dello stesso tipo. La loro preoccupazione è scegliere il migliore tra i partecipanti ed assumerlo subito, prima che qualcun altro lo faccia.
Devo purtroppo ammettere che quello che mi è capitato in Italia è molto diverso. I concorsi italiani richiedevano la preparazione di molti documenti, che poi andavano stampati e spediti via posta all’università in questione. In un caso, è passato un anno tra la presentazione della domanda e la data del colloquio. Naturalmente tutte le spese erano a carico mio, e non erano poca cosa, visto che venivo dall’estero.
Detto questo, non cambierei mai il percorso di formazione che ho fatto in Italia con uno all’estero. Se non fosse per quello che ho imparato nel mio paese, non sarei mai riuscito a fare della mia passione un lavoro. L’Italia ha una tradizione e una cultura che non sono seconde a nessuno. Proprio per questo però fa male vedere dipartimenti inglesi e americani pieni di scienziati italiani di prim’ordine, mentre sono rarissimi i casi di professori stranieri che si spostano nelle nostre università.
Come si trova nella città di Brighton?
Pur essendo arrivato da pochi mesi, mi trovo molto bene. Brighton è una città particolare, piuttosto piccolo ma davvero vivace e ricca di opportunità. È sede di due università e ogni anno ospita diversi festival artistici che richiamano gente da tutto il Regno Unito. Inoltre, è una località balneare molto amata dai turisti inglesi. Si trova a meno di un’ora da Londra, quindi è molto ben collegata a tutto il resto d’Europa.
Qui ho scoperto che gli inglesi sono molto più socievoli di quanto pensassi. Nella prima settimana di permanenza sono stato a messa a St. Joseph, la prima chiesa cattolica che ho trovato. All’uscita, io e tutti i giovani presenti siamo stati invitati a pranzo nei locali della parrocchia. Adesso frequent regolarmente i ragazzi che ho incontrato quel giorno. Da loro sto imparando tanto, è molto bello sentirsi accolti quando si è in un paese straniero.
Pensa che un giorno tornerà in Italia?
Ci penso spesso. Certamente sento la mancanza della famiglia, degli amici più cari e del mio paese. Allo stesso tempo, qui sono felice perché posso coltivare la mia passione e mi vengono date opportunità che in Italia non sono così scontate. Spero in futuro di poter tornare, e magari di fare qualcosa di buono per un paese che mi ha dato così tanto.
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