FilippineDi Patrizia Caiffa
Oltre 4mila morti accertati – ma il numero potrebbe essere molto più alto -, 13mila feriti, 600mila sfollati e danni incalcolabili a infrastrutture e abitazioni. Questo è oggi il bilancio delle conseguenze del tifone Haiyan nelle Filippine, una catastrofe naturale già sparita dai riflettori dei media, mentre in Vietnam ha appena causato altri 30 morti e 80mila sfollati. Dopo lo stanziamento di 3 milioni da parte della Cei e di primi 100mila euro da Caritas italiana, domenica 1 dicembre è stata indetta in tutte le chiese italiane una colletta nazionale a sostegno delle popolazioni colpite. Le offerte raccolte verranno inviate a Caritas italiana. Intanto la rete internazionale Caritas ha già lanciato un primo appello di 1 milione e mezzo di euro per gli aiuti d’emergenza, come ci racconta Paolo Beccegato, vicedirettore e responsabile dell’area internazionale di Caritas italiana: “A breve ne verrà lanciato un altro più consistente, con le valutazioni dei danni, per il piano di emergenza”. A suo parere “la situazione è più grave di quanto non si immagini”. Caritas italiana manderà del personale espatriato.
Nei giorni scorsi abbiamo assistito a uno scontro di cifre tra Onu e governo sui numeri delle vittime. Il governo tende al ribasso, perché?
“Le cifre sono molto più alte di quelle date dal governo, che tende a minimizzare le cifre dei morti per un discorso politico, di immagine pubblica. Anche perché dovrà dare un risarcimento economico alle vittime. Purtroppo sono molto pessimista. Anche perché tanti bambini non erano registrati all’anagrafe e non verranno conteggiati. Conosco Samar e Leyte. Sono zone molto popolose, sperdute, è difficile fare verifiche effettive. Tanti morti sono stati seppelliti in fretta e furia nelle fosse comuni, altri sono annegati in mare. Le nostri fonti locali ci dicono che il disastro è gravissimo, anche come entità di persone sfollate e di feriti. Si sapeva che sarebbe arrivato il tifone più pericoloso della storia: allora perché, su una popolazione di quasi 100 milioni di abitanti in 7.107 isole, sono state evacuate solo 750mila persone? In più nelle Filippine, nonostante sia un Paese colpito da tre o quattro tifoni ogni anno, non sono stati mai costruiti i rifugi anti-ciclone in cemento armato come in Bangladesh. Lì è stato possibile ridurre le vittime da 150mila degli anni precedenti a 10mila. Nelle Filippine le persone erano state evacuate in parrocchie e scuole con strutture edilizie fragili: è volato via tutto”.
Come si stanno organizzando gli aiuti Caritas e la Chiesa locale?
“Sono già partite da Manila e arrivate via mare, a Tacloban, delle imbarcazioni-cargo. Da lì porteranno i primi aiuti di emergenza anche alle zone più decentrate. Anche Caritas italiana entrerà nel coordinamento degli aiuti, inviando una o più persone sul posto. Probabilmente prenderemo degli impegni per una decina d’anni, come è avvenuto per lo tsunami. Dal 2004 ad oggi abbiamo ancora personale espatriato che lavorava per la ricostruzione in India, Indonesia, Bangladesh, Sri Lanka. Se si vuole fare un lavoro serio con le popolazioni non si possono mandare pochi aiuti e poi andare via. C’è un lavoro enorme da fare, nel lungo periodo. La Caritas e la Chiesa locale sanno facendo un lavoro ottimo ma verranno sovrastati dalla mole di necessità. Dovremo aiutarli soprattutto a livello diocesano, visto che sono coinvolte 13 diocesi, anche in altre isole, come Palawan e Mindanao. Abbiamo contatti con il card. Tagle, arcivescovo di Manila. E c’è una grande mobilitazione dal basso, con tantissimo volontariato locale. I filippini sono laboriosi e molto generosi”.
Il 1° dicembre la Cei ha indetto una colletta nazionale nelle parrocchie. Questo influirà molto sulla possibilità di aiutare le Filippine. Cosa vi aspettate?
“Il problema è che i mass media hanno subito fatto scendere l’attenzione sulle Filippine: dopo 48 ore già se ne parlava pochissimo. Lo tsunami, sia perché erano morte 350mila persone sia perché erano coinvolti occidentali e volti noti, è passato come prima notizia dei telegiornali italiani per tre settimane; il terremoto ad Haiti per due settimane. Questo disastro, che non è da meno per entità dei danni, dopo due giorni è quasi scomparso dai notiziari. Temo che questa dimenticanza dei mass media possa influenzare la solidarietà degli italiani”.
Qual è dunque il vostro appello ai media?
“Chiedo che mandino inviati sul posto per documentare i danni reali. Ho visto immagini televisive veramente drammatiche. E che se ne continui a parlare il più possibile, anche per rispettare la dignità di queste persone”.
Come è stata finora la solidarietà del mondo cattolico?
“Tutte le Caritas del mondo si stanno mobilitando, insieme ai missionari e alle ong. La solidarietà a livello di base è molto più attiva delle istituzioni e del governo locale. Contiamo sulla generosità degli italiani che non è mai mancata in queste situazioni. Certo, se l’opinione pubblica fosse informata meglio, avremmo la possibilità di raccogliere più offerte e inviare più aiuti”.

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