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“Ma voi, chi dite che io sia?” Convegno fede Agesci

Di Sara Mattioli

LORETO – “Ma voi, chi dite che io sia?” (Lc 9,20). E’ questo il versetto di Luca che è risuonato in tutta Italia nei giorni 15, 16 e 17 di Novembre.
Quasi 2500 capi scout a Trento, Loreto e Catania si sono interrogati sul ruolo dell’Agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani) nella Chiesa e sull’esperienza  di Dio nella vita di capi e ragazzi dell’associazione, ripercorrendo ciò che è stato fatto e detto negli ultimi 30 anni e cercando di individuare gli obiettivi sui quali lavorare nel prossimo futuro.

Noi capi del gruppo scout Monteprandone 1, insieme ai capi di altri gruppi della zona picena,  abbiamo avuto l’onore e il piacere di essere presenti al convegno di Loreto. Gli arrivi (decisamente bagnati!) da tutta Italia sono stati il primo momento di incontro tra persone che, nella maggior parte dei casi, non si conoscevano  ma che si sono riunite convinte che solo dal confronto e dalla condivisione possono nascere occasioni di crescita e punti di partenza comuni per raggiungere mete che da soli risulterebbero traguardi inarrivabili.

L’accoglienza di tutti i 900 capi presenti a Loreto è stata nella basilica della Santa Casa dove il vescovo G. Tonucci ha guidato i Vespri. Il ritornello di uno dei salmi che abbiamo proclamato diceva: “gli occhi di tutti guardano a Te: sei vicino, Signore, a quelli che ti cercano” e sembrava essere stato scritto per tutti noi capi che ai piedi della Santa Casa ci apprestavamo a vivere insieme questo convegno.

Per prima cosa si sono ripercorse le tappe fondamentali dell’Agesci in fatto di educazione alla fede. Il primo libro scritto sull’argomento fu il PUC (Progetto Unitario di Catechesi) nel 1983. Sono ancora attualmente validi tutti i concetti di unitarietà che esso conteneva. Si ribadiscono oggi come allora l’unitarietà della proposta scout che accompagna il bambino che entra a 8 anni in Agesci fino alla sua partenza all’età di 21 anni (termine del suo percorso associativo da educando), ma anche l’unitarietà della persona e della sua storia, che oggi più che mai è messa in pericolo; l’unitarietà di noi capi-testimoni che in ogni istante della nostra vita dobbiamo ricordarci di essere scout ma soprattutto cristiani; l’unitarietà tra l’associazione e la Chiesa locale nella necessità di mettere lo scoutismo (il nostro sapere e il nostro essere) a servizio di quella comunità più allargata che sono le nostre diocesi; l’unitarietà della natura di Gesù come figlio dell’uomo e figlio di Dio senza il quale saremo degli ipocriti nel pensare di rispettare la nostra promessa per tutta la vita, nulla ci sarebbe possibile senza l’aiuto dello Spirito Santo.  Nel 1991 fu redatto un secondo testo, il Sentiero fede, che fu messo alla base dei rapporti con le diocesi per l’iniziazione cristiana dei fanciulli. Nel frattempo, dal 1971 ad oggi, l’associazione ha messo a disposizione dei capi che volevano approfondire la Parola di Dio delle settimane di studio, i campi Bibbia. Noi capi (come uomini in cammino in questo mondo) troviamo sempre più difficoltà ad accogliere la Parola di Dio nella nostra vita, a confrontarci con essa e a trasmetterla quali veri testimoni ai nostri ragazzi. Abbiamo voluto però ribadire in questi giorni così preziosi la centralità che la Parola deve avere nelle nostre attività ma ancor più nelle nostre vite. Come ci ha ricordato una delle relatrici, “Dio non parla più, come nei tempi dell’Antico Testamento, direttamente con l’uomo, né è presente in mezzo a noi come ai tempi di Gesù, ma oggi ci mostra il Suo volto solo attraverso la Parola”. Nella nostra continua ricerca di senso non possiamo far altro che confrontarci con la Parola, non possiamo far altro che centrare la Bibbia per portare la novità nella nostre vite e in Agesci, per essere testimoni credibili agli occhi dei nostri ragazzi e di tutta la comunità ecclesiale.

Solo attraverso un confronto sincero con la Parola potremmo riuscire a leggere la realtà e dare nuove soluzioni. Proprio da questo spirito nasce nel 2007 il primo campo Bibbia interreligioso. Si incontrarono capi di tutta l’area mediterranea per pregare insieme, creare amicizie e superare le diffidenze, partendo dal testo e dalle tradizioni nelle tre scritture (ebraica, cristiana e mussulmana). Questa visione interreligiosa ci è sempre più cara: nelle nostre parrocchie e nelle nostre realtà sono sempre di più i bambini non cattolici che abbiamo il dovere di accogliere, mantenendoci saldi nella proposta e ma aperti al confronto.

Oggi spesso ci accorgiamo che la catechesi lascia troppo poco nell’animo dei ragazzi rispetto ad un’altra qualsiasi attività scout e sembra che per i ragazzi sentire parlare di Dio sia lo scotto da pagare per “andare agli scout”. Tutto questo nasce da un nostro errore: la catechesi è ancora troppo spesso qualcosa di staccato, di altro rispetto all’attività scout. Se da un lato non ci accorgiamo che le nostre attività sono catechesi (che condividere un panino con chi non ce l’ha è già catechesi, che salire sulla cima di una montagna e contemplare il Creato è già catechesi …) dall’altro dovremmo affrontare ogni momento di catechesi  in modo esperienziale, dovremmo narrare la catechesi e non solo raccontarla. La differenza infatti è sostanziale. Nel racconto ogni capo semplicemente mette uno dopo l’altro i fatti accaduti, mentre nella narrazione mette in gioco se stesso: deve confrontarsi prima con la Parola, mettersi  in ascolto di Qualcuno che parla alla sua vita e solo dopo potrà narrarla ai ragazzi. Essi così non ascolteranno più dei fatti avvenuti 2000 anni fa ma qualcosa che entra prorompente nella vita, che la ripara e la guida. La narrazione permette anche che il ragazzo narri a sua volta la sua esperienza, non resta passivo e un po’ annoiato di fronte ad un testo biblico, ma ci rivede dentro se stesso e narra ad altri quello che la Parola ha detto alla sua vita. Il sociologo Mauro Magatti, presente al convegno, ci ha ricordato che la nostra è una società nichilistica, dove il niente prevale, tutto è opinione e ogni cosa cambia di giorno in giorno. Tutto diviene quindi possibile, in nome di quella libertà che porta l’uomo a perdersi, a non trovare porti sicuri in cui attraccare. Siamo talmente liberi che non sappiamo dove andare e la storia sembra essersi fermata. Non siamo più in una società cristianizzata dove il paese, la famiglia e la scuola si occupano di generare la fede. Il paese è ormai il villaggio globale dove puoi desiderare e prendere tutto ciò che vuoi; la famiglia è in forte crisi e anche i genitori “credenti” non sanno come trasmettere ai loro figli la fede; la scuola è completamente laica. L’iniziazione cristiana è troppo spesso ridotta alla sola preparazione ai sacramenti dei bambini e la parrocchia rischia sempre più di diventare un’agenzia di servizi religiosi per i più piccoli.  Nasce da tutto questo la necessità di una nuova evangelizzazione. Per farlo dobbiamo ripartire dal primo annuncio, dal Vangelo come esperienza di libertà, dobbiamo provocare una scelta di vera libertà nei nostri ragazzi, “dobbiamo passare da una chiesa museo ad una chiesa laboratorio”, dove ogni cosa può essere manipolata, sperimentata, giocata in prima persona. Secondo Magatti  l’esperienza religiosa va ricostruita proprio a partire da quei vuoti che la società nichilistica lascia: il desiderio di Dio insito in tutti gli uomini, la necessità di testimonianze vere ed autentiche di chi vive l’esperienza di fede, rivedere il concetto di legge che non limita l’uomo ma lo guida come faro nel mare della libertà e la necessità del rito come elemento indispensabile per staccare l’uomo da un livello puramente umano e innalzarlo a Dio. Noi capi ripartiamo oggi rinvigoriti da nuove e vecchie (ma rispolverate) considerazioni sul nostro essere chiesa, sulla necessità di vivere l’ecclesialità  nelle nostre comunità parrocchiali, convinti che non esiste esperienza cristiana rinchiusi nelle nostri sedi. Insieme alla nostra madre Chiesa siamo convinti che non c’è altra via se non quella di rimettere al centro delle nostre vite la Parola di Dio per aprire una nuova stagione di evangelizzazione. Vogliamo metterci in gioco in prima persona e affidare allo Spirito Santo ogni nostra azione, convinti che senza di Lui la nostra proposta risulterebbe sterile. Voglio concludere con le parole di coraggio del nostro assistente ecclesiastico nazionale (padre Alessandro Salucci): “se Gesù è riuscito a fare la Chiesa con dodici miserabili che lo hanno tradito e rinnegato … figuriamoci quello che riusciremo a fare noi” se affideremo la nostra barca al soffio dello Spirito Santo.

Foto di Comunicazione – Agesci Lazio

 

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