È un’Italia preoccupata di mettere il piatto a tavola quella che ogni giorno trascorre ore davanti alla televisione, per guardare l’interminabile palinsesto di programmi culinari. Un’Italia che inala gli odori dei fornelli attraverso lo schermo e segue il tempo lungo della cottura dei cibi dalle casse di una radio, per esorcizzare le difficoltà reali di mettere qualcosa dentro a quelle pentole.
Ce lo ha ricordato recentemente l’Istat certificando che negli ultimi cinque anni, tra il 2007 e il 2012, il numero dei poveri è raddoppiato fino a raggiungere quasi 5 milioni di persone. Non solo: nei primi sei mesi del 2013, il 17% delle famiglie ha diminuito la quantità di generi alimentari acquistati e contemporaneamente ha scelto prodotti di qualità inferiore. Eppure, sul piccolo schermo, i programmi di cucina sovrabbondano. Ormai non si tiene quasi più il conto: dall’immarcescibile “La prova del cuoco” della Clerici nazionale a “Bake Off Italia”, che riporta in onda la più piccola delle sorelle Parodi dopo il flop de “I menu di Benedetta”. E poi “Chef per un giorno”, “Cotto e mangiato”, “Cucina con Ale”, “Fuori di gusto”, “Cuochi e fiamme”, “MasterChef Italia”, “Unti e bisunti”. Per non parlare dell’invasione enogastronomica d’Oltreoceano: chi di noi non ha sentito parlare almeno una volta de “Il boss delle torte”, dell’eccentrico cuoco (?) Gordon Ramsay o della britannica “Nigellissima” che tenta senza riuscirci di cucinare l’Italia a modo suo?
Pensiamo così tanto a quello che vorremmo mangiare da dimenticare che poi, bene che vada, a mettere insieme il pranzo con la cena sono sempre meno italiani.
E allora, nella Giornata nazionale della colletta alimentare, sarebbe valsa la pena di iniziare a guardare meno la televisione e prestare più attenzione a chi ha davvero bisogno di un aiuto anche per mangiare. A cominciare, magari, dai nostri vicini di casa.