Il 1° dicembre i cittadini croati saranno, infatti, chiamati alle urne per stabilire se sia necessario e opportuno specificare nella Carta costituzionale che il matrimonio riguarda un uomo e una donna.
Il referendum, diversamente da quello previsto nell’ordinamento italiano, non è “abrogativo”: i promotori, infatti, chiedono esplicitamente all’elettorato di dire sì o no a tale dizione, e il voto popolare avrà valore cogente.
Al voto di domenica si è arrivati dopo che, in poche settimane, migliaia di volontari avevano raccolto oltre 750mila firme, superando di gran lunga quelle minime richieste.
Addirittura il governo, a raccolta iniziata, aveva alzato l’asticella delle firme necessarie, giusto per fare uno sgambetto al comitato “Nel nome della famiglia” e impedirne il successo. Detto fatto, i volontari, molti dei quali giovani, hanno rimboccato le maniche e accettato la sfida, ampiamente superata. Dimostrando, con i fatti, che i cittadini croati hanno voglia di esprimersi democraticamente e di dire la loro su un tema che ritengono dirimente, quale appunto la definizione del modello familiare.
In queste stesse ore, invece, il fronte italiano racconta ben altro. Sono, infatti, fallite le raccolte di firme promosse dai radicali nostrani in appoggio a una vasta serie di quesiti riguardanti principalmente la giustizia (separazione delle carriere, responsabilità civile dei giudici, magistrati fuori ruolo, custodia cautelare, abolizione dell’ergastolo), ma anche temi a carattere sociale, fra i quali figurano l’immigrazione e le droghe. Senza dimenticare di mettere nel calderone il “divorzio breve” (“per eliminare i tre anni di separazione obbligatoria prima di ottenere il divorzio”, come chiarisce il sito web dei promotori) nonché – notizia sfuggita ai più e taciuta da quasi tutti i media – l’8xmille (“lasciare allo Stato le quote di chi non esprime una scelta”).
Nonostante lo sforzo dei promotori italiani, emerge lampante il fatto che probabilmente i cittadini non sono interessati a pronunciarsi su temi tanto delicati mediante un sì o un no referendario. Anche perché lo stesso istituto referendario, per di più esclusivamente abrogativo, è stato abusato negli ultimi decenni e, proprio per questo, svilito e reso strumento inefficace. In questo caso la Croazia consegna all’Italia una lezione su cui riflettere.