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Nelson Mandela. chiamò tutto il Sudafrica sotto l’albero della parola

Di Riccardo Moro

È francamente difficile mantenere le parole ordinate per scrivere della morte di Mandela senza farsi sopraffare dall’emozione e dalla retorica. The Old Man, come lo chiamavano tutti in Sudafrica, dai top manager bianchi ai taxisti di Johannesburg, ha lasciato un segno indelebile nella storia contemporanea.
Imprigionato per essersi opposto al regime, Mandela viene liberato dopo 27 anni di carcere duro e d’isolamento, grazie al nuovo corso imposto da Wilelm De Klerk, l’ultimo presidente bianco del Sudafrica. Già simbolo della lotta per la liberazione durante gli anni della prigione, da cittadino libero Madiba si spende per ricostruire la pace in un Paese lacerato. Con De Klerk, che gli farà da vicepresidente durante il primo mandato, e il vescovo anglicano Desmond Tutu, guida il Sudafrica in un percorso di riconciliazione difficile e non scontato.
Durante la sua presidenza lavora la Commissione per la verità e la riconciliazione, presieduta da Desmond Tutu, che avvia un percorso nuovo rispetto alle precedenti esperienze di riconciliazione politica tentate in altri Paesi. Con la consapevolezza che la pervasività della violenza generata dal crudele regime dell’apartheid aveva convolto bianchi e neri, la Commissione propone un’idea di giustizia basata sulla relazione. Ingiustizia e violenza sono rottura della relazione fra le persone. Ricostruire giustizia è, allora, ricostruire all’interno della comunità le relazioni violate. Riconciliare diventa “fare giustizia”.
Per ricostruire le relazioni la Commissione usa uno stile specificamente africano, invitando ognuno a parlare per raccontare quanto abbia subito e quanto abbia commesso. In tutta l’Africa le relazioni passano attraverso la parola, la comunità nel villaggio si riunisce e vive intorno all’albero della parola, il grande albero che fa ombra e ospita dialogo, ascolto e decisioni. Andare di fronte alla Commissione, che rappresenta la comunità, a parlare per confessare azioni commesse e sofferenze subite è il modo per riaccendere le relazioni con la comunità di cui si è parte. Quel ristabilire relazioni si fa giustizia concreta, non ha bisogno di pene e indica la determinazione a tornare a camminare insieme. L’amnistia che la Commissione delibera non è impunità, ma volontà e segno di un cammino solidale comune per ricostruire il Paese. Quel parlare, confessare e condividere davanti alla comunità restituisce dignità alle vittime, di qualunque colore siano, e permette di chiudere la porta sui veleni del passato e costruire insieme la “Rainbow Nation”.
Se Tutu ispira culturalmente e spiritualmente questo percorso, Mandela lo rende possibile politicamente con azioni che mostrano la volontà testarda e delicata d’includere. I suoi gesti da presidente coinvolgono tutto il Paese. Sorprende lo staff bianco della presidenza, timoroso che il nuovo presidente nero dia avvio a un ciclo buio di regolamento di conti, chiedendogli di accettare di lavorare per lui. Indossa la maglia numero di 6 di Pienaar, il capitano della squadra di rugby, lo sport tradizionale dei bianchi, la notte dell’insperata vittoria sudafricana ai mondiali del 1995, facendo letteralmente commuovere l’intero Paese. Infine, dopo soli cinque anni, annuncia che non si sarebbe candidato per un secondo mandato, gettando cemento nelle fondamenta della neonata democrazia sudafricana.
Chi scrive ritiene con convinzione che l’Africa, con il processo di riconciliazione sudafricano, abbia dato al mondo un patrimonio il cui valore maturerà nel tempo e segnerà in futuro la vita dell’umanità, come è avvenuto per la nascita della democrazia e del diritto o per la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
The Old Man è stata una delle condizioni perché la scelta della riconciliazione fosse compresa e divenisse possibile per ogni cittadino sudafricano. La sua eredità chiama alla responsabilità in tutto il mondo.

Categories: Il Ricordo
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