SAN BENEDETTO DEL TRONTO – La presidente della camera Laura Boldrini è stata presente all’inaugurazione della mostra realizzata dal fratello Andrea presso la palazzina azzurra di San Benedetto del Tronto e visibile fino al 18 dicembre.
Andrea Boldrini Coordinate celesti
di Francesca Pietracci
Con un titolo fortemente evocativo, e nello stesso tempo scientifico, Andrea Boldrini presenta una nuova serie di lavori dedicati al rapporto tra cielo e terra, tra paesaggio e costellazioni, tra filosofia e teologia. Si tratta di un’impresa difficile, che lui stesso definisce come il progetto ambizioso e un po’ folle di recuperare dei rapporti interrotti. In realtà non sappiamo se si tratti veramente di rapporti interrotti o costruiti ex novo, ma sappiamo che riemerge in lui il grande sogno di ricondurre il tutto all’unità, ad un’origine o un arrivo ultimo, ad una filosofia primaria della quale la sua visione artistica e la qualità stessa della sua pittura diventano lo stesso processo.
Tutto questo senza rinunciare alla sua vena ironica, che costituisce per lui un metodo di conoscenza attraverso la rappresentazione di visioni simultanee, sinottiche. Ciò che viene recepito dalla sua mente come reale e vero si dispone sulla tela seguendo la logica di un evento, di un accadimento in grado di collegare elementi che interagiscono tra loro anche se appartenenti appartenenti a piani di percezione differenti.
Di fatto nebulose e galassie attraversano le sue tele, avvolgendo colline, animali, persone; allo stesso tempo i paralleli terrestri si allargano, si distaccano dal pianeta Terra, si proiettano nella volta celeste e contengono tutto ciò che lo abita. Se è vero che l’arte pone domande, crea bisogni, e che la scienza e la tecnica danno risposte e realizzano nella realtà tali sogni, è vero anche che questi suoi paesaggi astrali e terreni fanno vivere lo spettatore a cavallo di due mondi, di due visioni telescopiche sovrapposte, lo fanno sentire parte di un tutto, abitante di un cosmo in continuo movimento e in costante divenire.
La sua mostra, infatti, si risolve tutta nel gioco di interconnessioni, di sconfinamenti e di simbologie che riportano al concetto di Totalmente Altro, di un qualcosa di indefinibile a parole, dall’aspetto denso e nebuloso, come un ambito in gran parte precluso, ma che si svela limitatamente alla nostra percezione attraverso il gioco concettuale di un’immagine indistinta, cioè la rappresentazione stessa del limite umano di non poter distinguere.
Ma questa grande marginalità spazio-temporale dell’essere umano viene da lui riscattata attraverso la centralità della conoscenza e la capacità di formulare domande che partono da approcci differenti, tra i quali quello dell’arte, dell’etica, della scienza e della teologia.
A questo punto ci potremmo chiedere se l’arte sia una fede, o se la fede sia un’arte … e l’artista ci risponderebbe che il superamento di questo interrogativo potrebbe risolversi in chiave escatologica, nel luogo in cui arte, scienza, filosofia, teologia e fede sarebbero solo interfacce di uno stesso sistema, di quegli stessi universi isola di kantiana memoria.
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