Anche sotto la “bela madunina” del Duomo tanti milanesi si ritrovano impoveriti e disoccupati. Mangiano alle mense dei poveri, “fanno la spesa” di cibo e verdure nei centri di ascolto e nelle parrocchie milanesi, chiedono aiuti materiali e percorsi formativi e di reinserimento al lavoro per superare le difficoltà e rimettersi in gioco. Oltre ai “vecchi” poveri, che sono più poveri di prima, è il ceto medio che si trova oggi a bussare per la prima volta ai servizi della Caritas ambrosiana: insegnanti, dirigenti, impiegati, operai specializzati. C’è crisi nel comparto dell’edilizia, tante fabbriche ad alta tecnologia hanno chiuso. Chi si ritrova senza lavoro è spesso anche solo: paga le spese di una cultura individualista che non ha favorito la costruzione di reti solidali. Così non riesce più a pagare la rata del mutuo, l’affitto, le bollette. Diventa impossibile mantenere il tenore di vita avuto finora, in una città dove il costo di beni e servizi è sicuramente alto. Così molti, pur avendo casa, auto e telefonino, preferiscono risparmiare sul cibo, pur di arrivare a fine mese: negli ultimi cinque anni sono aumentate del 31,4% le richieste di pacchi viveri alla Caritas.
63 mila pacchi viveri al mese. Nei 330 centri d’ascolto parrocchiali della Caritas vengono distribuiti 63mila pacchi viveri al mese: pasta, olio, riso, caffè, zucchero, biscotti, scatolame generico, per un valore pari a 30 euro. L’80% dei prodotti è fornito dal Banco alimentare, il resto viene raccolto attraverso donazioni. “Nella Milano che si prepara ad ospitare l’Expo – commenta don Roberto Davanzo, direttore di Caritas ambrosiana – un terzo dei cittadini più poveri rinuncia, almeno una volta al mese, a fare la spesa al supermercato per pagare la luce”. In alcune zone dell’arcidiocesi, come a Sesto San Giovanni, nascono esperienze innovative, come il “Last minute market”. L’iniziativa, realizzata dal Comune, dalle Caritas parrocchiali e dalla Società San Vincenzo de’ Paoli, coinvolge 220 volontari che raccolgono e distribuiscono pane, verdura e frutta invenduta nei supermercati della cittadina lombarda di 100mila abitanti. In questo modo i nuovi poveri possono consumare anche verdure fresche. Dal 2010 ne sono stati distribuiti 40.570 chili. In più, dopo la pausa pranzo dei dipendenti comunali, la stessa mensa apre le porte ai poveri per consumare i pasti non serviti.
Ridare dignità alle persone. A Milano le mense e gli ostelli per i poveri sono storicamente gestite dai religiosi. Caritas ambrosiana, da parte sua, mette in campo tutti gli strumenti possibili per contrastare la crisi e ridare dignità alle persone: oltre allo sportello per chi perde il lavoro e per i senza tetto, il mezzo più importante è il Fondo Famiglia Lavoro, voluto nel 2008 dall’allora arcivescovo di Milano cardinale Dionigi Tettamanzi, poi entrato nella seconda fase con il cardinale Angelo Scola. Nei primi quattro anni sono stati raccolti 14 milioni di euro, che hanno aiutato 9 mila famiglie; dall’inizio del 2013 ad oggi, invece, circa 4,3 milioni di euro, aiutando 1042 famiglie. Un altro milione e 200 mila euro è arrivato da 57 fondi locali parrocchiali, per aiuti a 1739 famiglie. Il 40% dei beneficiari sono italiani, età media 40 anni, due figli a carico, licenza media o diploma. Vengono elargiti aiuti a fondo perduto per pagare bollette, mutui, affitti o tirocini e microcrediti per aprire piccole attività imprenditoriali. In cambio le persone si impegnano a fare percorsi formativi e di ricerca lavoro. Il Fondo offre corsi nell’ambito della ristorazione e del settore alberghiero. Perfino un corso di formazione per spazzacamini.
Servono politiche a lungo respiro. “Registriamo un aumento generale di richieste nei centri di ascolto – spiegaLuciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas ambrosiana e segretario generale del Fondo Famiglia Lavoro -. La povertà assume più forme, le cause e i percorsi sono complessi. Di solito, quando le persone perdono il lavoro sono anche indebitate, diventano fragili. La crisi incrina i rapporti e gli schemi. Il lavoro degli operatori e dei volontari è oggi più complicato, esige più maturità e competenze”. Nei 73 decanati dell’arcidiocesi le parrocchie inventano le formule di intervento più diverse, a seconda dei bisogni del territorio. Come i gruppi di auto-aiuto tra famiglie, per creare reti di solidarietà familiare laddove una certa cultura materialista ha reciso tanti legami. Ma l’azione della Chiesa da sola non basta. “Stiamo facendo tutto il possibile ma ci sentiamo soli – precisa Gualzetti -. Non ci sono grandi politiche di aiuto. Sono stati fatti troppi tagli al sociale. Spesso le assistenti sociali si rivolgono a noi perché non sanno come fare. È necessario integrare strumenti e risorse, e fare con il Comune e la Regione delle politiche a lungo respiro. Dare risposte solo all’emergenza cibo non basta: bisogna affrontare la povertà alla radice, ragionando insieme su come dare prospettive alle persone e alle famiglie in difficoltà”.
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