A lanciare il grido d’allarme è Rémi Brague, professore emerito di filosofia medievale e araba all’Università Panthéon-Sorbone (Paris I) e titolare della cattedra “Romano Guardini” alla Ludwig Maximilian Universität di Monaco. Il filosofo francese, membro dell’Institut de France e insignito di numerosi premi, fra i quali il Grand Prix de philosopie de l’Acadèmie Francais (2009), il Premio Ratzinger (2012) e l’Ordine nazionale della Legion d’Onore (2013), ha tenuto recentemente una lezione alla Lumsa – promossa dal Dipartimento di scienze umane in ricordo di Edda Ducci, la prima donna titolare, in Italia, di una cattedra di filosofia dell’educazione, materia di cui è stata docente alla Lumsa dal 1980 al 2007, anno della sua morte – sul tema “Il proprio dell’uomo. L’umanesimo nel XXI secolo”, che prende spunto dal suo ultimo libro, “Le Propre de l’homme. Sur une légitimité menacée”, pubblicato in Francia da Flammarion e non ancora tradotto in italiano. Nel mirino del filosofo francese, le derive contemporanee di stampo “antiumanista”. Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Professore, perché lei ritiene che “ciò che è proprio dell’uomo” venga oggi minacciato?
“Il mio punto di partenza è la constatazione che, da numerosi decenni, la questione dell’umanesimo ha subito un cambiamento radicale. L’umanesimo è stato, fino a una certa epoca, un modo conveniente per designare quello che andava promosso, o almeno difeso, vale a dire un certo valore dato all’uomo e a ciò che è umano. Oggi è proprio quest’umanesimo primario, quello che fonda e giustifica gli studi umanistici, che è attualmente minacciato. Finora, in altre parole, ci si era chiesti: come possiamo promuovere l’umanesimo? Come difenderlo contro tutte le figure del disumano? Oggi, la domanda è piuttosto: bisogna davvero promuovere l’umanesimo? Il nostro umanesimo non è un’affermazione, ma la negazione di una possibile negazione. Il nostro umanesimo non è altro, in fondo, che un ‘anti-antiumanesimo’: niente di più, niente di positivo”.
Come si è arrivati a questo punto?
“Lo sviluppo dell’idea umanistica ha conosciuto quattro tappe di sviluppo: la differenza, cioè la presa di coscienza che l’uomo ha di sé stesso in quanto costituisce una specie che si distingue dalle altre in modo sostanziale; lasuperiorità, in base alla quale l’uomo è considerato migliore delle altre specie, ma non il migliore degli esseri, idea tanto greca quanto biblica; la conquista, con Bacone e Cartesio, secondo i quali la superiorità dell’uomo non è più conferita da un’istanza superiore: l’uomo realizza la sua superiorità diventando il padrone della natura. La quarta tappa, infine, è quella dell’umanesimo esclusivo, che ha inizio nel secolo XIX: per esso, l’uomo è l’essere più alto, che non tollera alcuno al di sopra di sé. Quest’ultima tappa dura fino ad oggi: l’umanesimo esclusivo continua a escludere la figura del divino rispetto al quale si erano definite le fasi che l’avevano preceduta: il Dio della Bibbia e il ‘divino’ della filosofia greca”.
Si è perso, dunque, il concetto del “limite”…
“Riconoscere l’istanza del ‘più alto’, sia esso Dio o la Natura, rendeva possibile una legittimazione dell’umano, ma implicava anche una sua limitazione. Oggi siamo in presenza di un ateismo metodologico, nelle scienze e nella politica. Si può fare senza Dio, ma c’è un prezzo da pagare: la rinuncia a Dio, nelle scienze, si paga con l’impossibilità di parlare di un senso, mentre in politica abbiamo a che fare con la negoziazione, in cui non c’è un sommo bene ma un sommo male da evitare. Ma questo non basta, è un bene debole”.
Quali sono i rischi dell’“umanesimo esclusivo”?
“Escludendo ciò che trascende l’umano, il pensiero moderno è incapace di rispondere alla questione della legittimità dell’uomo. Henri De Lubac sosteneva che l’umanesimo ateo potrebbe benissimo fondare una civiltà, ma sarebbe una civiltà disumana. Mi chiedo se De Lubac non sia stato troppo ottimista: l’umanesimo esclusivo è semplicemente impossibile. Non perché renderebbe l’uomo inumano, ma perché distruggerebbe l’uomo. Oggi abbiamo a disposizione mezzi del tutto concreti per farla finita con l’umanità: le armi nucleari e biologiche, l’inquinamento terrestre, l’inverno demografico. C’è poi il sogno di un superamento dell’umano, vecchio almeno quanto Nietzsche e rafforzato dai progressi della biologia. Senza contare la deep ecology, che sogna di sacrificare l’uomo alla Terra, assurta a una sorta di divinità”.
È possibile ancora, in questa situazione, elaborare un “pensiero del bene”?
“I tempi moderni sono in grado di produrre molti beni, e non solo nell’ambito dei beni materiali, ma c’è una cosa che sono incapaci di dire: perché è un bene che ci siano degli uomini sulla terra. Abbiamo beni in quantità, Che sia bene che tali beni abbiano un beneficiario, questo non lo possiamo dimostrare. O forse sì. Ma per farlo, bisogna credere a Colui che disse, nel sesto giorno della creazione, che il creato, nella sua totalità, è ‘molto buono’”.