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La sua ordinarietà rende i fedeli tutti straordinari

M. M. NIcolais

Domenica 17 marzo 2013. Sono in attesa di seguire il primo Angelus di Papa Francesco, quattro giorni dopo la sua elezione. Il clima è quello un po’ sospeso delle “prime volte” di un nuovo Papa. La notizia, giunta a sorpresa, che il Papa si sarebbe recato, prima dell’appuntamento con i fedeli a piazza San Pietro, a Sant’Anna per la sua prima Messa “da parroco” mi ha reso, da cronista, testimone di come un evento di fatto straordinario – nessuna domenica di un Papa, fino ad allora, aveva registrato un avvenimento simile – possa essere reso “normale” da un Papa come Francesco.
Quella mattina, a Sant’Anna, c’era già tutto quello che poi avremmo ritrovato nelle innovazioni che Francesco ha introdotto, in particolare, in due appuntamenti che fanno parte della sua agenda quotidiana: le Messe mattutine a Santa Marta e le Udienze del mercoledì. Anche i suoi predecessori dicevano Messa, ma in privato o in presenza di alcuni ospiti, e sempre nel palazzo apostolico. Francesco, con la sua scelta senza precedenti di risiedere a Casa Santa Marta – un “convitto”, lo chiama lui, dove si può sempre sedere a tavola in compagnia e incontrare qualche confratello – ha fatto della Messa delle sette del mattino un evento pubblico, dedicando un posto speciale all’omelia, sempre pronunciata a braccio e dedicata alla spiegazione delle letture del giorno. Papa Francesco ha voluto espressamente che non se ne diffondesse un testo scritto (Radio Vaticana ne ripropone alcuni passaggi e L’Osservatore Romano ne pubblica poi un resoconto), proprio per non perdere la “freschezza” – che gli appartiene – di chi comunica senza filtri con la gente, tramite parole che vanno dritte al cuore e che nella loro semplicità sono iniezioni di profondità evangelica.
Una vera e propria “rivoluzione copernicana”, non solo per l’affluenza che registra numeri da capogiro (da un minimo di 40mila a un massimo di 100mila), sono con Papa Francesco anche le Udienze del mercoledì, dove la catechesi – un quarto d’ora circa, articolata in tre punti essenziali alla maniera della spiritualità gesuitica – si dilata fino a sfiorare nelle sue punte massime le tre ore, e durante le quali la fase che precede e quella che segue i saluti ai fedeli nelle varie lingue sono nutrite di gesti di attenzione verso i fedeli, in particolare verso quelli che Papa Francesco definirebbe i più “periferici”. L’Udienza del mercoledì comincia, infatti, sempre con un giro molto lungo sulla “papamobile”, dove il Papa dispiega quello che si potrebbe definire un magistero di gesti – i baci e le carezze ai bambini, i saluti che “dialogano” con la folla in vari modi – e termina con un ordine inverso a quello a cui eravamo abituati finora: il Papa si congeda dai fedeli, dopo i saluti a cardinali e vescovi che sono sul sagrato, dedicando lo spazio più ampio ai malati e ai disabili che lo aspettano nella zona dell’Arco delle Campane. Si intrattiene con loro, e con i volontari che li accompagnano, uno per uno, e solo alla fine torna nel “palco delle autorità”: chi ha il posto “in prima fila” deve aspettare…
Ma le novità delle Udienze, con Francesco, toccano anche lo “stile” con cui si rivolge ai fedeli. Il Papa avverte il bisogno di dialogare con loro, e li interroga con domande stringenti, spesso provocatorie. Nelle ultime Udienze, esorta perfino i fedeli a ripetere insieme a lui alcuni concetti-chiave della catechesi, quasi per memorizzarli meglio, per favorirne l’interiorizzazione. Il “botta e risposta” tra la piazza e il Papa è ormai abituale, così come la richiesta di fare “i compiti a casa”, come quando ha chiesto a ognuno di andare a rintracciare la data del proprio battesimo.
Tra le tante, c’è un’innovazione nell’appuntamento del mercoledì che ci riporta a quella “benedizione” che il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” ha chiesto al popolo affacciandosi dalla Loggia delle Benedizioni, subito dopo l’elezione: è l’introduzione della “preghiera silenziosa”, una sorta di atto di intercessione compiuto insieme alla gente in piazza, per situazioni collettive particolarmente tragiche, come l’alluvione che poco tempo fa ha devastato la Sardegna, o per storie individuali di cui il Papa si prende personalmente carico, chiedendo a chi ha fede di fare altrettanto. Come il 9 novembre, quando Francesco ha chiesto di pregare per Noemi, una bambina di 16 mesi gravemente ammalata.
Per capire quanta importanza il Papa attribuisca a questi due momenti ordinari (oltre all’Angelus) del suo magistero, le Messe a Santa Marta e le Udienze del mercoledì, basta sfogliare l’“Evangelii Gaudium”, l’esortazione apostolica da subito apparsa come programmatica del pontificato. Ci troviamo l’immagine di una “Chiesa dalle porte aperte”, casa di tutti: una Chiesa “in uscita”, perché la Chiesa non è una Ong, non è una élite, è come un fiume, e chiede di andare oltre i campanili. Anche a costo di rimanere “incidentata”. Perché l’uomo è un “viandante”, e il verbo che Francesco ama di più è “camminare”.

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