L’annuncio era atteso. Ora che è giunto ufficialmente dalle parole di Papa Francesco, durante l’Angelus di domenica 5 gennaio, si è diffusa gioia e speranza. Gioia per quello che sta per avvenire (dal 24 al 26 maggio prossimo) e per tutto ciò che è avvenuto in precedenza e lo rende oggi possibile e ancor più significativo; speranza per lo sviluppo desiderato e necessario per la vita della Chiesa e per la credibilità ed efficacia della sua missione.
È stato detto e scritto che nel primo millennio la Chiesa cristiana, sia pure pluralisticamente articolata in patriarcati, teologie e riti diversi è rimasta sostanzialmente unita, nel secondo millennio si è divisa e si sono avuti cristiani contrapposti ad altri cristiani a colpi di scomuniche e lotte, il terzo millennio appena iniziato, a Dio piacendo, potrebbe e dovrebbe essere quello destinato a ricomporre in unità le membra sparse del Corpo di Cristo che è la Chiesa. Risuona a questo proposito il tema della prossima settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) tratto dalla angosciata domanda di Paolo ai Corinti: “Il Corpo di Cristo è diviso?” (1 Cor 13), Così tradotto in una vecchia traduzione di F.Nardoni (Editrice fiorentina 1960): “Il corpo di Cristo è tagliato a pezzi?”.
Il ritornare in pellegrinaggio nella Terra Santa dove è nato, vissuto, morto e risorto il Maestro e dove è risuonato il primo annuncio della buona novella, ha una forza paragonabile solo a un concilio universale di tutta la cristianità. Non per nulla Paolo VI intraprese la coraggiosa e inedita iniziativa in un momento storico unico, quell’inizio del 1964, a soli sei mesi dalla sua elezione, nella fase culminante e critica del Concilio Vaticano II, che doveva trovare la via della conclusione di un lavoro che durava dal suo primo annuncio, fatto nella Basilica di San Paolo fuori Le Mura da Giovanni XXIII (25 gennaio 1959), da ben 5 anni. Significava rompere la cerchia vaticana e aprirsi al mondo, ritornare all’origine, alla terra dalla quale era partito Pietro per andare a Roma. Ora e per la prima volta il successore di Pietro ritornava in quella terra per respirare l’aria pura dell’ aurora della fede cristiana e il vento dello Spirito che aveva dato origine e slancio agli Apostoli per l’evangelizzazione del mondo.
Quello che ha significato per il primo pellegrinaggio di Paolo VI è stato ripreso e confermato da Giovanni Paolo II (20-26 marzo 2000) e da Benedetto XVI (8-15 maggio 2009) ed ora da Francesco. Segna una tradizione, un punto di riferimento chiaro. Noi proveniamo da lì, lì abbiamo il cuore e la mente perché vi sono le nostre radici. Non possiamo né dobbiamo delocalizzare il cristianesimo e adulterare la sua storia. L’itinerario della Parola è stato da Gerusalemme, la prima Chiesa, a Roma, Atene, chiese dell’Apocalisse, fino ai confini del mondo a oriente e occidente. Il cristianesimo non è nato nelle aule di qualche facoltà teologica e tra i testi di biblioteche anche se ricche e famose, tanto meno nelle cancellerie degli Stati e nei palazzi dei sovrani.
Se pensiamo che esistono ancora “chiese nazionali” o sette cristiane con mille diverse denominazioni alternative alle chiese storiche, il divenire tutti idealmente uniti con Francesco pellegrini a Gerusalemme vuol dire anche chiedere perdono a nome del male e dello scandalo della divisione.
Non importa se il pellegrinaggio si svolgerà solo a Gerusalemme e Betlemme e non in tutti i santi luoghi come fanno normalmente i comuni pellegrini. Ciò che conta per il vescovo di Roma Francesco è andare in umiltà a pregare e non a recriminare o rivendicare qualcosa. Lo ha detto: andrà ad incontrare altri fratelli nella fede, in primo luogo Bartolomeo, per ricordare e rinverdire la suggestiva e famosa icona dell’abbraccio tra il grande vecchio dalla lunga barba bianca, Atenagora patriarca di Costantinopoli, sede della cattedra dell’apostolo Andrea, e l’esile papa Montini, vescovo di Roma, sede della cattedra dell’apostolo Pietro, fratello di Andrea. Quell’incontro ebbe come conseguenza un fatto poco conosciuto, poco valorizzato, ma decisivo: la cancellazione delle vicendevoli scomuniche (7 dicembre 1965), comminate con asprezza nel lontano 1954 tra i rappresentati della Chiesa romana d’Occidente e il patriarca dell’Oriente bizantino e così fu scritto e sottoscritto il Libro dell’amore (Tomos Agapes) per cui le due Chiese di Roma e Bisanzio si considerano due sorelle confessando la stessa fede e partecipando ciascuna a riti validi e santi. Ciò è nato a Gerusalemme cinquanta anni fa e Francesco lo sa bene e forse in questa occasione potrà fare gesti che consentano una più ampia e ed efficace comunione e divenire un evento “storico” come quello di 50 anni fa, di quella storia della salvezza che conduce i cristiani ad essere uniti affinché il mondo creda.
L’incontro ecumenico annunciato da Papa Francesco che avverrà presso il Santo sepolcro rappresenterà il momento culminante di questo pellegrinaggio e sarà una risposta, speriamo definitiva, allo scandalo della divisione e contrapposizione che si perpetua nel tempo tra Chiese cristiane diverse e separate che si contendono spazi e diritti sul luogo santo destando stupore e scandalo tra i pellegrini.