Di Paolo Bustaffa
Sono trascorsi cento anni. Non c’è Paese d’Europa che non porti ancora i segni di quella guerra che Benedetto XV denunciò come “inutile strage”. Uno scontro che, incominciato nel 1914, provocò nel triennio 1915-1918 oltre 16 milioni di morti di cui 10 milioni di militari e 6 milioni di civili. Senza contare i feriti nel corpo e nell’anima e la lacerazione profonda del tessuto culturale, sociale ed economico del nostro Paese e dell’Europa.
A tenere viva la memoria, accanto ai cippi, alle lapidi, ai monumenti ai caduti, agli enormi e impressionanti ossari militari, ci sono in tutti i Paesi europei i libri di storia. Basterebbe leggerne alcuni per rendersi conto del fiume di dolore e di morte che ruppe gli argini nazionali e inondò il continente. Basterebbe leggerne alcuni per rendersi conto che i popoli europei furono costretti alla reciproca aggressione mentre chiedevano di crescere nella prosperità e nella pace.
Di quell’Europa della sofferenza poche tracce si trovano però sui libri di storia.
E questo vuoto di narrazione, questo trascurare l’immane ferita nei popoli europei, contribuirono ad accendere altre sconvolgenti tragedie.
Sono trascorsi cento anni e, doverosamente, sono iniziate le commemorazioni di quel conflitto europeo che per il suo allargarsi divenne la “prima guerra mondiale”.
La memoria, anche attraverso la celebrazione, bussa alla porta della coscienza.
Perché questo avvenga si dovrà ricordare anche il grido che in quegli anni bui si è levato, sopra il frastuono delle armi, per denunciare la guerra, per chiedere e implorare la pace.
È stata la voce dei Pontefici che si è alzata con fermezza dal 1914 e oggi si leva contro altre guerre in altre regioni del mondo.
Da Benedetto XV a Pio XI, da Pio XII a Giovanni XXII, da Paolo VI a Giovanni Paolo I, da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI. E ora Papa Francesco.
La memoria sosta sul passato ma subito si proietta sull’oggi e sul domani nel riascoltare le loro parole, nel rileggere la grande enciclica, nel registrare le vibrazioni della loro voce, nel seguire i loro gesti, nel rivedere i luoghi delle loro presenze nel tempo.
La periferia di Roma bombardata, il ritiro a Castel Gandolfo in opposizione al dittatore, il palazzo di vetro dell’Onu, i passi di un Papa tedesco in un campo di sterminio…
In cento anni l’ininterrotto appello alla pace è stato un contributo, forse non detto ma certamente illuminante, per la nascita di quel nuovo pensiero che avrebbe portato alla costruzione della casa comune europea.
E questo perché l’appello dei Pontefici è stato ed è anche oggi l’appello dei popoli, degli umili, dei poveri.
Non è troppo sperare che nella celebrazione del centenario della “inutile strage” queste voci tornino a proporre una riflessione seria sul futuro dell’Europa e un pensiero forte in vista delle elezioni europee di fine maggio.
Il risveglio della coscienza europea è, infatti, urgente perché se una guerra non è pensabile è invece reale per l’Europa il rischio di corrosione delle fondamenta della dignità umana, della giustizia sociale e della solidarietà.
Un rischio alimentato da nazionalismi ed egoismi che ieri contribuirono a formare la miscela esplosiva di due terrificanti conflitti mondiali combattuti sul suolo europeo.
Ancora un volta la Chiesa, sentinella della storia, leva la sua voce. È Papa Francesco a chiedere all’Europa un esame di coscienza, un ritorno all’umiltà, un soprassalto di fraternità.
Sono i cristiani i primi destinatari dell’appello. Sono i cristiani a essere chiamati per primi ad aggiungere agli applausi risposte coerenti alle domande di un Papa non europeo ma che è ben consapevole della vocazione dell’Europa.
In questa prospettiva s’inserisce l’invito al voto per l’Europa della vita, della persona e dei popoli che proprio in questi giorni viene dalla Comece, la Commissione degli episcopati della comunità europea.
È bene sottolineare che nella scelta dei vescovi di tenere viva per la loro Commissione la definizione “comunità europea” invece che “unione europea” risuona l’appello di Papa Francesco alla fraternità. C’è un messaggio di speranza da comunicare, c’è un pensiero sul futuro da far crescere, c’è un impegno di concretezza da condividere sul territorio. Una bella avventura si apre a cento anni dalla “inutile strage” e a pochi mesi dalle elezioni europee.
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