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Martiri della fede

Di Carlo Camoranesi
Con quali ombre e quali luci va letto il rapporto redatto da Fides, l’agenzia delle Pontificie Opere Missionarie, che riporta la lista di ben 22 persone barbaramente uccise mentre erano impegnate nella loro opera pastorale? Li hanno già ribattezzati “i martiri della fede” , nell’elenco che riporta anche una suora e due laici (oltre a 19 sacerdoti), presenti soprattutto nell’America Latina, che lavoravano per applicare alla lettera i principi evangelici.
La notizia desta un certo sgomento, una reale preoccupazione, ma consente anche di constatare l’esempio tenace di chi opera solo per il bene dell’altro. Scriveva il poeta Alfonso Gatto: “Quello che non sappiamo è forse il volto, / il nostro volto che la morte un giorno / suggellerà col suo silenzio, nomi, / fatti perduti appena nati, cenere” . Ecco, queste 22 vittime testimoniano che non deve essere sottovalutato il gesto vitale proteso verso il prossimo, il segno più visibile della speranza umana che aumenta in senso inverso al numero degli assassinati: 13 nel 2012, appunto 22 nel 2013. La maggior parte di essi è stata uccisa in seguito a tentativi di rapina o di furto, aggrediti in qualche caso con efferatezza e ferocia. Eppure si erano recati in Colombia, in Messico, in Brasile, ma anche nelle terre d’Africa per aiutare, semplicemente. A questi 22 vanno aggiunti gli operatori pastorali sequestrati o scomparsi di cui non si hanno più notizie. E allo stesso tempo sappiamo che il conflitto che sta insanguinando da tre anni la Siria non risparmia i cristiani.
Il dato stride con le parole sapienti di Papa Francesco, rivoluzionario della Chiesa che sa andare incontro alla gente con un sorriso e un’umiltà disarmanti: “I poveri non possono aspettare. È vero, e questo mi fa pensare che Gesù è nato in una stalla, non in una casa. Oggi penso a tante famiglie senza casa, sia perché non l’hanno mai avuta, sia perché l’hanno persa per tanti motivi” . La frase è stata proferita durante la recente visita al Bambin Gesù di Roma dove ad attenderlo c’era un gruppo di bimbi proveniente da diversi luoghi: etiopi, libici, cinesi. Con il Natale il pontefice ha voluto fare visita alla struttura ospedaliera che accoglie i piccoli pazienti. Papa Francesco, dunque, entra di persona nell’azione che valorizza l’altro: l’ultimo, il diseredato, il più infelice, il più indifeso.
Quelle 22 morti non vanno dissipate nella dimenticanza della cronaca che brucia tutto come un grande inceneritore. Non devono essere un numero, una statistica, ma un monito per ripartire, consci che la missione comporta il rischio e che anche la pace può suscitare, paradossalmente, la guerra, quindi provocare una morte agghiacciante, come nel caso specifico. Gli attori del bene, così come ci piace definire i 22, hanno assimilato la convinzione che la pace nel mondo può essere raggiunta esclusivamente attraverso il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni. Uno degli obiettivi principali era rappresentato dalla salvaguardia dei bambini. Per questo motivo la pastorale deve continuare con più energia, perché le opere missionarie lavorano senza far rumore e danno la vita, ci ricorda ancora il Papa. Il senso di fratellanza e di condivisione unisce più che mai: dagli orfanotrofi alle case per anziani, dai seminari alle cattedrali di tutto il mondo. L’annuncio del Vangelo è una cosa di molti, non di pochi. L’armonia nella Chiesa si raggiunge nell’accoglienza di una diversità che non entra in conflitto e non si contrappone, ma che è di arricchimento. Mentre, al contrario, l’uniformità uccide la vita.
Papa Francesco, con il suo linguaggio fulmineo, esige un comportamento universalmente inconfondibile per la totalità delle persone. Chi uccide non ha coscienza, non ha forza, non ha talento, non sa che cosa significa partecipare alla vita di donne, uomini, bambini. Chi uccide ha già perso, e per sempre. Nell’elenco predisposto da Fides, scorriamo anche i nomi di due italiani, don Michele Di Stefano, parroco nella diocesi di Trapani e la missionaria laica Afra Martinelli, di Brescia che operava da 30 anni in Africa. Altre due vite donate all’altro, al fianco degli ultimi nel segno del Vangelo. Che non hanno avuto il giusto rilievo mediatico, proprio per questo loro porsi in mezzo a chi soffre e a chi ha bisogno. Ma da qui nasce il germe di una nuova speranza, quella che non muore mai…
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