Il sospetto è sport lecito, ma è sempre la verità che smentisce o conferma. Eppure sarebbe stato così facile per tutti i criminologi non professionisti poter commentare ancora una volta l’ennesimo delitto “maturato in ambiente familiare”. Gli elementi paradigmatici, come la provincia italiana e la villetta dell’orrore, già c’erano tutti e sicuramente non sarebbe mancato a corredo anche il plastico esemplificativo.
I motivi del delitto, come da conferenza stampa del procuratore capo di Torino, Sandro Ausiello, restano “futili e abietti”, tuttavia nell’immaginario collettivo il fatto ha già perso di mordente. In questa vicenda sciagurata, il figlio delle vittime ha subito il lutto e il danno collaterale di essere etichettato anzitempo come potenziale “mostro” da una pletora di esperti improvvisati e da una Rete zeppa di colpevolisti. Gremita e affamata schiera, che in questi anni è stata nutrita da storie atroci come Cogne e Novi Ligure, in cui la crudeltà del delitto era acuita dalla stretta parentela tra vittime e carnefici. Tutti casi di grande audience, su cui si sono spese pagine di giornali e ore di tv per raccontare (anche con un certo qual gusto malsano) la presunta crisi della famiglia e dei modelli che porta con se’. Ora si dovrà ripiegare sul solito pregiudicato sbandato. Sai che storia…
Da ultimo, per dovere di cronaca, è giusto registrare anche la delusione della fitta compagine di quelli che pregustavano il delitto ad opera dell’immigrato, ennesima dimostrazione dell’inefficienza dei nostri controlli di confine e delle politiche di accoglienza. Il sicario potrà anche esibire una sintassi approssimativa, ma è indubbiamente italiano.