Situazione disastrosa, che non potrà altro che peggiorare nel corso di questo 2014 in cui verrà progressivamente meno la cassa integrazione in deroga. E le statistiche non conteggiano quei rapporti di lavoro precari, spesso nascosti da partite Iva o da contratti di collaborazione vuoti un tempo di diritti, oggi pure di ricavi. Come se costoro fossero l’ombra di questa società, come se non mangiassero o non pagassero le bollette…
Vogliamo allora piangere? Verrebbe una voglia immensa, vedendo i nostri eletti impegnati in tutto, tranne che nell’essenziale. Viene invece voglia di lanciare un appello a tutti coloro che qualcosa di concreto possono fare, a chi guida un’azienda, a chi ne è proprietario o esercita una professione ancora redditizia.
Più che sulla coscienza, mettete le mani sui vostri bilanci, sulle vostre attività. Cercate di trovare qualche spazio per i giovani, qualche occasione di reddito per i volonterosi e bisognosi. Non dimenticate mai il valore del lavoro per una persona.
Ma l’appello più pressante lo rivolgiamo a chi deve “indirizzare” queste coscienze, nel senso di lasciare minore spazio ad egoismi e furberie. Lo rivolgiamo ai sindacati, che sappiano fare proposte costruttive insieme ai lavoratori nelle situazioni di crisi. In più occasioni, soprattutto a Nord, si sono trovate soluzioni al capolinea imprenditoriale, alla distruzione assoluta di valore che è la chiusura di un’azienda.
E lo rivolgiamo, l’appello, ai politici dei più alti livelli perché mettano freno all’emorragia di posti. Si può e si deve fare. Abbiamo lasciato chiudere migliaia di aziende che si sono spostate all’estero, senza fiatare, senza una minima contromossa. Centinaia di filiali di imprese estere che hanno sacrificato l’Italia senza troppi disturbi. Eh no, te ne vai o torni oltreconfine per guadagnare di più e ci lasci le macerie sociali?
È poi possibile che non si riesca a congegnare una formula retributiva che permetta veramente di creare nuova occupazione, soprattutto al Sud? Non con gli sgravietti o i finanziamenti a pioggia, ma con norme chiarissime e pragmatiche che abbattano il cuneo fiscale. Cuneo che evapora assieme al posto di lavoro, lo si tenga conto finalmente.
E un appello va rivolto alla burocrazia italiana, ai lavoratori impiegati da Stato ed enti funzionali e locali: si faccia di tutto per non ostacolare, per velocizzare, per dare una mano, per far cogliere un’occasione. Ancora oggi non è quasi mai così. Vorremmo aggiungere alla lista pure noi italiani consumatori, che ci ricordassimo cosa vuol dire scegliere questo o quel prodotto quando andiamo a fare la spesa. Oggi vuol dire anche: sostenere una fetta d’Italia, o no. Quindi dare una mano pure a noi stessi. Perché la ricchezza di un Paese è data dai posti di lavoro: se ci sono, abbiamo ricchezza, futuro, prospettive, crescita.
Ma se non ci sono, avremo lo sgretolamento del tessuto sociale, l’abbandono dei paesi, la fuga altrove per sfuggire la povertà e la mancanza di prospettive.
Non è solo la drammatica attualità dell’entroterra calabrese, se pure cinquemila veneti dell’ex Nordest hanno fatto le valigie nel corso del 2013…