È ufficialmente iniziata, il 7 gennaio, l’operazione di trasferimento delle armi chimiche siriane, che verranno distrutte nelle prossime settimane. La nave mercantile danese, Ark Futura, ha caricato un primo quantitativo, 27 tonnellate, di sostanze chimiche di 2 dei 12 depositi di armi siriani, nel porto di Latakia e si è diretta in acque internazionali dove attenderà di completare il carico così come previsto dalle procedure stabilite dall’Opac, l’Organizzazione per il monitoraggio del bando sull’uso delle armi chimiche che coordina l’operazione. A garantire la sicurezza dei materiali a bordo sono navi da guerra provenienti da Cina, Danimarca, Norvegia e Russia. La missione di carico, che potrebbe richiedere circa due settimane per il suo completamento, vedrà impegnato anche un secondo cargo, norvegese, Taiko che dovrà riempire le sue stive con 700 tonnellate di aggressivi chimici. “Un passo iniziale importante”, lo ha definito il capo della missione congiunta Onu-Opac, Sigrid Kaag, alludendo a questo primo carico. In realtà il trasferimento dei materiali chimici doveva essere concluso già il 31 dicembre ma le condizioni della sicurezza sul terreno hanno, a detta della responsabile, “oggettivamente ostacolato e posticipato le operazioni”.
Dubbi sul porto italiano. Permane, al momento, il mistero su quale sarà la prima tappa dei due battelli: parte delle armi chimiche dovrà infatti essere caricata a bordo della statunitense Cape Rey, dotata di moderni strumenti per distruggere gli agenti chimici dell’arsenale di Damasco, che comprende sarin e iprite. La nave, che a bordo ha 35 marinai, 64 tecnici e un numero imprecisato di personale militare, “è attesa nel Mediterraneo tra il 23 e il 26 gennaio”, secondo quanto affermato da Kaag. L’Italia ha offerto, per lo scarico e il trasferimento dei prodotti, la disponibilità di un suo porto. Potrebbe essere quello di Brindisi o uno in Sardegna, ma le Istituzioni locali e regionali si sono dette contrarie. Dal canto suo, il ministro degli Esteri, Emma Bonino, ha definito l’operazione di distruzione una delle “pochissime e la più grande mai effettuata”, auspicando l’assenza di polemiche. “Spero che tutte le forze politiche sappiano comportarsi con il rispetto e il decoro di un Paese che ha fortemente voluto la distruzione delle armi chimiche”. Partecipando a questa operazione l’Italia svolge un ruolo importante che le permetterà di sedere ai negoziati di Ginevra 2, il prossimo 22 gennaio, mentre alla conferenza di Ginevra 1 non era stata invitata.
Una scadenza da rispettare. Sono 12 nel complesso i depositi siriani che dovranno essere svuotati. La Cape Ray distruggerà 700 tonnellate di agenti chimici, con la sua pancia attrezzata per far fronte a eventuali fuoriuscite. I gas di Assad verranno scaldati e mescolati con acqua o idrossido di sodio per degradarli. Le scorie di questo processo verranno trattate negli impianti di Paesi, come la Germania, che hanno messo a disposizione dell’Opac le loro capacità industriali. La decisione del Governo tedesco è arrivata il 9 gennaio e a comunicarla è stato il suo ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier. L’operazione sarà eseguita dalla “Geka”, una società per l’eliminazione di armi chimiche e residui militari, nell’impianto di combustione di Munster. Il termine ultimo fissato nell’accordo russo-americano del settembre 2013 per la distruzione di tutto l’arsenale di Damasco è il 30 giugno. Una scadenza possibile da rispettare, secondo Kaag, che con moderato ottimismo ha ribadito che “tra i 15 membri del Consiglio di sicurezza sussiste un’aspettativa collettiva” in base alla quale “non c’è alcuna ragione di dare per scontato che possano esservi ritardi”.
Un Paese in ginocchio. Ma intanto la guerra civile in Siria, oltre a lasciare decine e decine di migliaia di vittime sul terreno, semina povertà: 12,6 milioni di persone, pari alla metà della popolazione, vive in miseria, 6,5 milioni hanno dovuto lasciare le loro case e 9,3 milioni hanno bisogno di assistenza umanitaria. Circa 2,3 milioni di siriani, hanno dovuto fuggire dal Paese, riversandosi soprattutto nei confinanti Libano, Giordania, Turchia e Iraq. Cifre fornite dal Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) durante una conferenza di Paesi donatori e Paesi ospitanti profughi siriani in corso ad Amman. Oltre l’80% di essi non vivono in campi per i rifugiati ma tra la popolazione, provocando un severo impatto sulla tenuta socio-economica delle comunità ospitanti. L’incontro di Amman, cui partecipano 18 Paesi, si svolge in vista della seconda conferenza dei Paesi donatori della Siria, in programma in Kuwait il 15 gennaio. Il 22 gennaio, a Montreaux, avrà luogo la conferenza di pace “Ginevra 2”.
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