Di Nicola Salvagnin
La casa – sotto forma di imposte – sta franando sulla testa degli italiani, trascinando con sé molta della credibilità del governo Letta, che sulla tassazione degli immobili sta facendo una pessima figura. Il Sole 24 Ore ha calcolato che nel 2013 l’Italia ha battuto il record (probabilmente galattico) di ben 104mila aliquote fiscali applicate al mattone nazionale, cifra iperbolica ottenuta dalle varie aliquote di base moltiplicate per tutte le distinzioni operate dagli 8mila e passa Comuni italiani. Ma ha anche scritto che – in base alle nuove misure di tassazione decise in questi giorni – questo record sarà sicuramente battuto nel corso del 2014. Questo per dare la misura del colossale guazzabuglio in cui ci siamo infilati per varie ragioni, tra le quali mancano quelle della semplicità e della ragionevolezza.
Tutto nasce da lontano, dall’addio all’Ici subito sostituita dall’Imu, quindi dall’addio all’Imu voluto da una parte politica e accettato per ragioni di sopravvivenza da Enrico Letta. In verità l’Imu doveva scomparire sulla prima casa, e il mancato introito doveva essere pareggiato da analoghi tagli alla spesa pubblica.
Ma tagliare, in Italia, non si può o non si vuole: scelta legittima, per carità. Quindi si ri-tassa. E al posto di uno, tre: ancora la vecchia Imu su tutti gli immobili che non siano prime case, la nuova Tasi che sarebbe la tassa sui servizi comunali “indivisibili” (luce, fogne, asfalto…) e la cui aliquota è decisa localmente; la nuova Tari che è la vecchia Tares e quindi la tassa rifiuti, con le stesse regole della Tasi.
Già detta così, la situazione appare più complicata di prima e, lo dicono gli esperti, più costosa per il contribuente. Ma all’aggravio fiscale – cui siamo tutto sommato assuefatti – s’è aggiunta la beffa della complicazione, della confusione. Bisognerà conoscere le decisioni di ogni singolo Comune non solo sulle aliquote, ma pure sulle detrazioni, e le loro variazioni nel tempo; calcolare ogni volta gli importi; rispettare le tante scadenze perché ogni tassa – a quanto pare – avrà due rate annuali, quindi sei in tutto. Ma sulla rateazione non è ancora detta l’ultima…
Lo ripetiamo: noi italiani ormai abbiamo fatto il callo all’assurdo, a scervellarci e a perdere un sacco di tempo per pagare, non per incassare (si pensi ai bizantinismi relativi alla sola Imu: la prima cantina è esentata, la seconda paga imposte anche fossero 8 euro l’anno; è prima casa solo per chi è proprietario, non lo è se abitata dai figli…). Ma figuriamoci le facce degli investitori stranieri, di quei fondi pensione, di quelle finanziarie, di quei grandi patrimoni esteri che cercano nel mattone rifugio o affari. Con tutto il mondo a disposizione, perché investire in un Paese da mal di testa?
Cefalea che sta venendo a milioni di italiani per un’ultima coda velenosa del capitolo Imu. Mentre il governo, nel corso del 2013, ballava il valzer dell’Imu sì, Imu no, Imu sospesa; no, cancellata – con la costante, disperata ricerca di soldi per colmare il buco finanziario -, ben 2.500 amministrazioni comunali italiane mettevano le mani avanti aumentando l’aliquota Imu sulla prima casa: metti mai che rimanga…
Così ora l’esecutivo ha deciso che l’Imu prima casa non è più dovuta per il 2013, ma per le aliquote esistenti ad inizio anno. Chi le ha aumentate, deve chiedere la differenza ai cittadini, da pagare entro il 24 gennaio. Peccato che, per calcolare questo residuo d’imposta, ci voglia la sapienza di un premio Nobel; che i Caf non siano stati ancora dotati dei programmi informatici di calcolo; che infine il risultato finale sarà (per fortuna) di pochi euro. Per pagare i quali però bisognerà impazzire e perdere tempo. Diceva il vecchio Bartali: tutto sbagliato, tutto da rifare…