Di Jean-Dominique Durand – Francia
La Francia sarebbe un Paese antisemita? Il caso clamoroso di Dieudonné, un comico un po’ sinistro specializzato in provocazioni di vario genere, ma soprattutto antisemite e di disprezzo nei confronti delle vittime della Shoah, rilancia la questione seria del posto dell’antisemitismo nella società francese.
Tutti gli osservatori lo sottolineano: l’antisemitismo rimane in Francia un problema evidente. Un grande partito di importanza nazionale, il Front National, ne ha fatto ai tempi del fondatore Jean-Marie Le Pen una base ideologica, anche se oggi, guidato dalla figlia Marine, il partito è diventato più prudente su questo versante. Tutte le autorità ebree, che siano religiose come il Grande Rabbinato, o laiche come il Crif (Conseil Représentatif des Institutions juives de France), denunciano le aggressioni quotidiane, anche fisiche, contro gli ebrei che portano la kippah nei luoghi pubblici, e atti di vandalismo contro sinagoghe. La Francia è l’unico Paese europeo dove recentemente alcune persone sono state uccise perché ebree: il giovane Ilan Halimi, rapito, torturato per oltre venti giorni, poi ucciso da una banda la cui motivazione principale era l’odio contro gli ebrei; nel 2012, a Toulouse, un attentato contro una scuola ebrea ha ferito a morte diverse persone, tra cui dei bambini.
Il peso dell’antisemitismo in Francia è stato confermato dall’inchiesta dell’European Agency for Fundamental Rights che denuncia in particolare due Paesi dell’Unione europea: la Francia e l’Ungheria.
Perché la Francia? Le inchieste mettono in relazione il peso del conflitto mediorientale senza fine e la presenza in Francia di un’importante comunità musulmana che tende a identificarsi nella causa palestinese e parimenti a identificare la comunità ebrea con Israele. L’antisemitismo si nasconde allora dietro l’antisionismo. Si può osservare tale posizione in diversi ambienti di estrema sinistra, tra i verdi, ma anche a volte tra i cattolici che strumentalizzano la politica israeliana per nutrire vecchi pregiudizi e rancori.
Perché l’antisemitismo francese non si nutre soltanto dell’attualità internazionale. Ha radici profonde: la Francia resta il Paese dell’“affaire Dreyfus”, di Édouard Drumont, il fondatore della Ligue Nationale Antisémite (1890), del giornale “La Libre Parole” (1892), l’autore del libro “La France juive” (1886) che fu uno dei libri più venduti alla fine dell’Ottocento, con oltre 200 edizioni successive fino al 2014. La Francia è anche il Paese di Charles Maurras e dell’Action Française, di Vichy e della collaborazione di Stato per la deportazione degli ebrei, quello dei primi autori negazionisti. Quindi un Paese nel quale le reti dell’antisemitismo restano diverse e attive.
Il caso Dieudonné rilancia tale antisemitismo e pone ugualmente la questione della libertà di espressione. Esso dà una visibilità mediatica rinnovata all’antisemitismo, accentuata ulteriormente da Internet, dove i siti violentemente antisemiti sono attivissimi.
Al contempo il dibattito pubblico in corso si struttura attorno al tema della libertà: si può affermare qualunque idea? Si può prendere in giro tutto indistintamente? Avanzare una risposta, che sia positiva o negativa, significa già cadere in una trappola: ciò che si augurano personaggi come Dieudonné che vivono di scandali.
In un momento segnato da un forte individualismo, nel quale ogni opinione ha il suo valore, le autorità, siano esse civili, religiose, culturali, hanno il dovere di fissare dei limiti al di là dei quali non si tratta più di libertà di opinione, bensì di aggressioni verbali (le quali, lo sappiamo bene, aprono la strada alle aggressioni fisiche) e di odio nei confronti di tutta una parte della popolazione. Il nostro tempo non può fare come se Auschwitz non fosse esistito e come se la Shoah non fosse stata preparata da decenni di odio e di insulti antisemiti che alla lunga disarmano le coscienze. È responsabilità dei politici avere il coraggio di ricordarlo, di esigere che la giustizia faccia il suo corso, perché le leggi esistono per impedire l’espressione pubblica dell’odio, quindi per imporre principi condivisi del vivere insieme.