Di Ilaria Nava
Accoglienza? Integrazione? Concetti superati. Secondo quanto emerge dalla ricerca presentata sabato a Milano sulla presenza dei ragazzi stranieri negli oratori ambrosiani, la parola che più si adatta alla situazione attuale è condivisione. In effetti, se negli oratori un terzo dei giovani è originario di un altro Paese, e di questi uno su quattro è islamico, siamo già oltre la semplice accoglienza ed è venuto il tempo per conoscersi e iniziare a camminare insieme. Ed è proprio in un luogo fortemente connotato a livello educativo e valoriale che questo avviene, rendendo gli oratori incubatori in cui prende forma “quel meticciato di identità e culture” dove si formano le generazioni di domani.
Generare futuro. L’indagine, che ha impegnato per due anni Ismu, Fondazione Oratori Milanesi, Caritas Ambrosiana e l’Ufficio pastorale migranti della diocesi, ha coinvolto 119 parrocchie rappresentative delle diverse zone e si intitola, appunto, “Educare generando futuro”. Sacerdoti, responsabili di oratorio ed educatori sono stati interpellati attraverso un questionario, mentre la percezione dei ragazzi è stata raccolta attraverso alcuni focus group: “Posto sereno per stare con gli altri, tanti giochi che puoi fare. Qui non avvengono cose strane. In un parco magari due si menano, qui no…” ha raccontato un quindicenne kosovaro. Oppure, un diciassettenne turco: “Le persone adulte che ci aiutano hanno voglia di insegnare”.
I numeri. La percentuale di presenza straniera più alta si registra al doposcuola (27%), all’oratorio estivo (26%) e nei gruppi sportivi (15%). La relazione è l’elemento chiave, innanzitutto con i coetanei, tanto che il 33,3% dichiara di avere iniziato a partecipare alle attività perché già lo facevano amici e compagni di scuola e solo il 20,3% perché erano presenti in parrocchia propri connazionali. Ma ciò avviene anche nei confronti delle figure adulte, e molti ragazzi sottolineano positivamente il fatto che all’oratorio si percepisca la loro presenza e il ruolo di presidio. Matteo Zappa, responsabile dell’area minori della Caritas, ha sottolineato che non sempre oratorio e famiglia trovano una congruenza, perché talvolta sono percepiti come in antitesi, e ha rilanciato una questione educativa rimasta aperta: fare progetti per ragazzi stranieri o strutturare la proposta educativa dell’oratorio in modo che possa andare bene per tutti? Nonostante, infatti, i ragazzi si sentano accolti dagli educatori, c’è ancora la percezione che le iniziative non siano del tutto rispondenti ai bisogni legati alla presenza crescente di diverse culture. Don Giancarlo Quadri, responsabile dell’ufficio pastorale migranti, ha posto l’accento sul fatto che quando si parla di migranti è sempre più necessario tenere presente anche il loro contesto familiare e anche la conflittualità talvolta presente tra le diverse etnie. “Oggi è necessario fornire agli educatori una formazione specifica su questi temi” ha annunciato Don Samuele Marelli, direttore della fondazione oratori milanesi, per il quale “l’attenzione agli stranieri è attenzione alle povertà a cui ci invita il Papa, lasciandoci interpellare da questa presenza senza rinunciare alla nostra identità”.
Futuri adulti. La partecipazione di persone di altri Paesi crolla se guardiamo ai ruoli di responsabilità o educativi, anche se il 52%, delle parrocchie ha almeno un animatore straniero, le comunità ecclesiali dove è presente almeno un cittadino straniero nel consiglio parrocchiale sono circa il 24%, quelle che hanno almeno un catechista immigrato sono il 19%. Per don Roberto Davanzo, direttore della Caritas ambrosiana, “dedicandoci all’educazione dei ragazzi stranieri, sarà verosimile che la generazione futura di adulti di origine immigrata possa diventare più una ricchezza che un problema, un soggetto capace di un contributo positivo all’intera società invece che l’oggetto della nostra carità”.