“Noi siamo, siamo stati e saremo sempre con il popolo”. Lo ha detto Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica di Ucraina, al presidente Viktor Yanukovych, nel corso di un incontro avuto ieri a Kiev insieme ai membri del Consiglio delle Chiese e delle organizzazioni religiose. Il colloquio è avvenuto in un momento estremamente delicato per il Paese. Nonostante i tentativi di dialogo tra le autorità e le forze dell’opposizione, proseguono in “Maidan” le violenze e continuano ad esserci morti da una parte e dall’altra. “Solo quando diventerà una priorità, prevenire la guerra civile e il confronto militare, si può procedere verso la pace”, ha detto Sua Beatitudine.
In piazza come peacemaker. Le Chiese, dunque, sono decise a rimanere in piazza, nonostante le nuove leggi che proibiscono le proteste. Parlando in diretta a una televisione ucraina, Shevchuk ha spiegato che le Chiese intendono “agire come mediatori e peacemakers”. Tutti i membri del Consiglio delle Chiese hanno potuto parlare con il presidente Yanukovych ed esprimere le loro preoccupazioni e richieste. “Negli ultimi due mesi – ha detto il capo della Chiesa greco-cattolica – non siamo stati solo in piazza con la nostra gente, ma posso anche dire che abbiamo ottenuto il diritto di essere lì. Oggi, tutti sanno che la presenza del clero è indispensabile per placare il popolo e preservare la protesta su modalità pacifiche. Ci sforziamo di servire la nostra gente in ogni modo possibile. Abbiamo aperto le porte delle nostre chiese per accogliere e riscaldare chi è nel bisogno”.
Permettere l’accesso agli ospedali. Sua Beatitudine ha poi denunciato un fatto molto grave al presidente Yanukovych. Fornendo sostegno spirituale, i preti hanno visto che ci sono molti feriti che hanno paura di andare negli ospedali di Kiev a chiedere aiuto perché gli organismi preposti all’applicazione della legge considerano le lesioni subite come prova di un crimine. Così la gente non sa più dove andare. Shevchuk ha raccontato la storia di un ragazzo che ha perso un occhio ed è stato costretto a saltare dal secondo piano dell’ospedale per sfuggire alla polizia. “Ho detto al signor presidente che questo non è giusto. Queste persone devono poter avere accesso alle cure mediche. Inoltre, la lesione non può essere considerata prova di un crimine”. Sua Beatitudine ha anche detto che i cappellani delle carceri della Chiesa greco cattolica non hanno accesso a coloro che sono stati imprigionati a causa degli scontri perché sono sorvegliati con “regime estremamente rigoroso”. “Purtroppo – ha aggiunto – non ho sentito dal presidente risposte chiare a queste esigenze ma ha detto che coloro che non hanno commesso gravi crimini devono essere rilasciati. Vedremo se succede veramente”.
Un clima di terrore. “La gente – racconta da Kiev padre Andriy Zelinskij, sacerdote gesuita – non andrà via dalla piazza finché il presidente non darà le dimissioni”. Anche per lui è molto importante l’accesso agli ospedali. Ci sarebbe, infatti, una direttiva del ministero dell’Intero che consente alle forze dell’ordine di arrestare i feriti in cura agli ospedali. “Si crea così un vero e proprio clima di terrore. I feriti – racconta il sacerdote – sono presi dall’ospedale, messi nelle macchine e portati chissà dove. Un uomo è stato torturato e lasciato morire al freddo, fuori Kiev. In una settimana è cambiata l’atmosfera. E a parte i morti, è questa la cosa più pericolosa e più brutta. Si sta vivendo in un clima che non si vedeva dai tempi sovietici”.