Nell’immaginario collettivo il Tribunale Apostolico della Rota Romana si identifica con le dichiarazioni di nullità del sacramento. In effetti la stragrande maggioranza delle cause prese in considerazione, forse il 90 per cento, riguarda proprio i matrimoni. Di per sé è il Tribunale di appello universale della Santa Sede. Detto in tali termini giuridici questa “dimensione giuridica del ministero ecclesiale” sembra ridurre la Chiesa stessa ad una istituzione umana qualsiasi. Ecco l’intervento di Papa Francesco ai giudici di questo speciale luogo di giustizia, di verità, della Chiesa universale, che deve essere sempre luogo di amore.
Poiché il 90 per cento appunto dell’attività riguarda i matrimoni e purtroppo nella loro fase di declino, di difficoltà, di sofferenza, di rottura tra coniugi cristiani, Papa Francesco ha chiesto a questi “giudici” non tanto di essere “buoni”, ossia accondiscendenti, il che sarebbe un tradimento della verità, ma di capire sino in fondo le persone che sono coinvolte.
Come è nel suo stile di Pastore universale, assai comunicativo, ha infilato una serie di opposti, apparentemente inconciliabili: “Diaconia, cioè servizio al popolo di Dio” e “attività giudiziaria della Chiesa; “serenità di giudizio” e conoscenza della comunità e delle persone; una giustizia non legalistica e astratta e “adatta alle esigenze della realtà concreta”; “verità nel rispetto della legge” e “delicatezza umana”, “competenza” e “spirito di servizio”.
Basterebbero queste contrapposizioni dialettiche, per metterla in filosofia, a far comprendere che cosa s’aspetta Papa Francesco da un “tribunale” della Chiesa. Una classica quadratura del cerchio? Evidentemente sì, se si ragiona unicamente in termini umani. Un atto, anche il giudizio, anche una sentenza di “carità pastorale” in termini cristiani. Come se non bastasse Papa Bergoglio ha chiesto non solo nelle sentenze ma anche e soprattutto nel modo di porsi dei “giudici” – parola usata tre volte, ma due volte preceduta da un “cari” – di manifestare nella loro opera “un servizio peculiare a Dio Amore”.
In fondo il Papa ha scelto – e non è assolutamente un diminutivo – il punto di vista del parroco, del pastore d’anime delle parrocchie di fronte a crisi matrimoniali assai complesse, dove vede o intravede, per amore anzitutto anche se da non esperto, le possibili condizioni per una dichiarazione di nullità di matrimonio e consiglia d’intentare causa.
Il Papa come il pastore d’anime del villaggio o della parrocchia più sperduta nel mondo intende andare incontro al desiderio di molte persone che desiderano una vita coniugale secondo i dettami del Vangelo, ricostituendo un matrimonio davanti al Signore, all’altare. E se ciò non fosse possibile proprio in nome della verità processuale, domanda ai giudici e a tutti gli operatori di operare con un amore senza limiti e rispetto verso le persone coinvolte.
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