Nel segno della prossimità e della cultura dell’incontro.
Questa la trama tenace della prolusione del cardinale Angelo Bagnasco al Consiglio permanente dei vescovi italiani. Una prolusione asciutta ma propositiva, non priva di una lettura attenta della vita della Chiesa in Italia, secondo lo spirito della Evangelii Gaudium di Papa Francesco. Emerge una sintonia di fondo che si percepisce persino nella scelta delle parole e delle immagini, quando viene evocata la “foresta che cresce”. “Vorremo che in questi giorni – afferma il cardinale – la gente ci sentisse particolarmente vicini, che potesse ascoltare una parola di prossimità, che avvertisse almeno un’eco del divino Maestro”.
I vescovi hanno grande fiducia nel popolo, perché conoscono la vita delle persone, la loro dignità, “il senso della famiglia, la capacità di dedizione e di sacrificio, la bontà spesso eroica di ogni giorno”. C’è ammirazione per questo popolo. Di qui il desiderio svelato: “Vorremmo che questa foresta buona e silenziosa avesse più voce degli alberi che cadono rumorosi”. Noi ci chiediamo: perché non accade, perché il sistema culturale e comunicativo del Paese privilegia il male, talvolta persino ostentato? Quanta parte di responsabilità è anche nostra, di noi media cattolici? Forse che la nostra voce è troppo flebile? Sono domande che meritano risposta, magari prendendo atto della distanza che si allarga fra il popolo e le sue classi dirigenti. Almeno quelle che costruiscono lo spirito collettivo di un intero popolo. E a giudicare dall’umore di fondo che traspare dal dibattito pubblico, sembra davvero che l’Italia sia nelle mani di uomini e donne senza speranza.
Il cardinale, interpretando il pensiero dei confratelli lo dice senza remore: “L’Italia non è una palude fangosa dove tutto è insidia, sospetto, raggiro e corruzione” . Da qui l’invito a reagire ad una visione che vuole spingere il popolo verso lo “smarrimento collettivo”. Le parole del cardinale allora si sono fatte severe: “A questo disegno, che lacera, scoraggia e divide – e quindi è demoniaco – non dobbiamo cedere nonostante esempi e condotte disoneste e approfittatrici”. E l’esortazione giunge forte e diretta: “Nulla deve rubarci la speranza nelle nostre forze se le mettiamo insieme con sincerità”. È quello che attende i cattolici italiani, primariamente sul fronte dell’evangelizzazione e dell’educazione. Ma anche sul versante civile, per dare voce a un’Italia che ha un bisogno disperato di lavoro per i propri giovani e di occasioni per fare famiglia. Pur in un contesto oggettivamente difficile, nel quale troppi soggetti si muovono sulla scena pubblica giocando allo sfascio. Magari con la segreta speranza di trarne profitto politico-elettorale, sull’onda di quel populismo che sta insidiando tante democrazie europee.
Ai cattolici italiani, in sintonia con il Papa e con i pastori, l’impegno di seminare speranza, di offrire ponti di dialogo e spazi di bene comune a chi non crede, di valorizzare la scuola, di sostenere la famiglia, di alleviare la povertà, di favorire la vita comunitaria, di evitare la solitudine perché nessuno si senta superfluo. E tutto questo con la gioia del Vangelo “accolta nel cuore e offerta al mondo con fiduciosa passione”. I cattolici italiani con i loro pastori l’hanno capito bene: quello di Papa Francesco non è né il tempo né il mondo degli “scarti”.