Così monsignor Nunzio Galantino ha sintetizzato ai giornalisti – nella sua prima conferenza stampa in veste di segretario generale ad interim della Cei, in occasione della presentazione del documento finale del Consiglio permanente – la novità nell’elezione del presidente della Conferenza episcopale italiana, il cui confronto sulle modalità ha occupato “gran parte” dei lavori. I presuli, infatti, hanno analizzato le “proposte prevalenti” per dare attuazione al “compito ben preciso” a loro assegnato dal Papa nell’assemblea di maggio scorso. “Con qualche sorpresa”, ha riferito il segretario, “la stragrande maggioranza dei vescovi ha ritenuto di mantenere la peculiarità del rapporto tra il Papa e la Chiesa italiana, che prevede che la nomina del presidente Cei venga dal Santo Padre”. La revisione dello Statuto, ha precisato però mons. Galantino, è un “work in progress”: il Consiglio permanente di marzo sarà “una prima tappa”, “la preoccupazione fondamentale è che tutta la Cei venga coinvolta, non abbiamo fretta”. “La Cei – ha ricordato a questo proposito – non è un’istanza altra o superiore rispetto ai singoli vescovi: è un organismo diffuso e di servizio. La Cei sono tutti i vescovi, presi singolarmente e tutti quanti insieme”.
L’Italia non è “la fotocopia” di quanto successo in Parlamento. “Mi sentirei ancora più umiliato, se dovessi pensare che l’Italia è la fotocopia di ciò che è successo ieri in Parlamento”. Riprendendo la frase usata dal cardinale Bagnasco nella prolusione, “l’Italia non è una palude fangosa”, mons. Galantino ha detto che la “bagarre” di ieri nelle aule parlamentari è qualcosa di “scandaloso, mortificante per l’Italia”, dove però “c’è gente molto più educata, consapevole del proprio ruolo, anche nello stesso Parlamento”. “Anche noi faremmo bene a tener presente questa parte del Paese davvero buona”, l’invito rivolto in particolare ai comunicatori, esortati a “dare notizia di ciò che accade”, ma anche a “far capire che c’è gente che cammina diversamente”. L’esempio citato è la Calabria, regione dove è presente la criminalità organizzata e dove “molto spesso chi non la pensa come la malavita, non ha gli strumenti per farsi sentire”. È molta di più, cioè, la gente che “non è d’accordo con un certo stile di vita, con la maleducazione propagandata, vissuta ed esercitata”. Altro esempio virtuoso, il “lavoro straordinario” dei volontari nelle carceri, non solo quelli cattolici, ma anche quelli “senza etichetta”.
I “numeri” della famiglia. “I numeri devono aiutarci a fare una politica realistica, e non ideologica”. Ne è convinto monsignor Galantino che ha parlato anche di famiglia. “Sono arrivate circa 160-170 risposte” ai questionari inviati dalla Cei in preparazione al prossimo Sinodo sulla famiglia, segno che “c’è stata una grandissima partecipazione delle realtà cosiddette periferiche”. Quanto alla situazione generale, “la famiglia fatta da un padre, una madre e dei figli, in Italia, è largamente, ampiamente e decisamente superiore ad altre forme di parentela affettiva”. “Sono convinto che le autorità pubbliche devono garantire a tutti i cittadini i propri diritti”, ha affermato mons. Galantino, che ha messo però l’accento sulla “sindrome dell’imbarazzo” che le famiglie “tradizionali” si trovano oggi a vivere: “Sembra quasi che le famiglie debbano chiedere scusa di esistere: quando ciò accade, vuol dire che gli equilibri non funzionano”. “Se, ad esempio, lo Stato ha dieci euro da spendere – si è chiesto il vescovo – e se le famiglie composte da padre, madre e figlio sono l’80%, mentre le altre forme di unioni affettive sono il 20%, è così strano che si chieda di tenere conto in percentuale di queste fasce? Non in termini di moneta, ma di attenzione”.
Il ruolo del vescovo nella lotta agli abusi. “Il vescovo non è un pubblico ministero o un pubblico ufficiale, il suo ruolo è molto più importante”. Mons. Galantino è intervenuto in questi termini sulla questione della denuncia, da parte del vescovo, alle autorità civili competenti, qualora fosse a conoscenza di abusi. Come è indicato “chiaramente” nelle Linee-guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici, che “presto” saranno rese pubbliche e la cui “armonizzazione” definitiva del testo è stata oggetto di questo Consiglio permanente, il vescovo “è ‘padre’ della vittima e ‘padre’ di chi ha commesso il reato”, e il suo compito è di “impegnarsi in tutti i modi a far emergere la verità nel suo ambito, che non è un ambito giudiziario”. Nei casi di abuso, comunque sia, “la parte più debole è in genere il minore”, come si potrà leggere anche nelle Linee-guida, ha assicurato il segretario, ricordando che nelle questioni di pedofilia “è il vescovo della diocesi che affronta il caso e istruisce il processo”, mentre la Cei offre “il servizio e il supporto” necessari.
Il 10 maggio in piazza per “ascoltare” il Papa sulla scuola. In piazza san Pietro, il 10 maggio, per “sentire ciò che il Papa ha da dire sul mondo della scuola”. Così monsignor Galantino ha illustrato ai giornalisti il senso dell’appuntamento del 10 maggio, il cui slogan è “la Chiesa per la scuola”, senza aggettivi. “È Papa Francesco che incontra il mondo della scuola”, ha ribadito citando il “sottotitolo” dell’iniziativa e rimandando alla lettera-invito all’appuntamento. “Non faremo rivendicazioni di nessun genere. Non chiediamo nulla. Andiamo in piazza per ascoltare ciò che il Papa ha da dirci”, ha detto il vescovo, che poco prima aveva sottolineato che in Italia la “scuola pubblica” è “la scuola statale e la scuola paritaria”. “La scuola – ha poi osservato mons. Galantino – deve imparare a recuperare il suo ruolo fondamentale, che non è quello di chi dà risposte, ma di chi mette in mano agli studenti gli strumenti critici per stare in maniera consapevole in questo mondo”. “Quando, invece, la scuola si limita a dare risposte a buon mercato, allora scatta la visione ideologica”, ha ammonito.