Di Salvatore Cernunzio da Zenit
Parte ancora da san Paolo, Papa Francesco nel suo Messaggio per la Quaresima 2014, esattamente dalle parole che l’Apostolo rivolge ai cristiani di Corinto, Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (2 Cor 8, 9), per incoraggiarli “ad essere generosi nell’aiutare i fedeli di Gerusalemme che si trovano nel bisogno”.
Ma “cosa dicono a noi, cristiani di oggi, queste parole di san Paolo?”, questo “invito alla povertà, a una vita povera in senso evangelico?”, domanda il Santo Padre. Anzitutto, “qual è lo stile di Dio”, il quale “non si rivela con i mezzi della potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della povertà”. Il mistero dell’incarnazione trova infatti ragione nell’“amore divino”, che – scrive Francesco – “è grazia, generosità, desiderio di prossimità, e non esita a donarsi e sacrificarsi per le creature amate”. Un amore che “rende simili, crea uguaglianza, abbatte i muri e le distanze”.
Gesù – sottolinea il Santo Padre, citando la Gaudium et spes – “ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo”. Pertanto la frase di san Paolo – perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà – non è “un gioco di parole”, né “un’espressione ad effetto”, bensì una “sintesi” della logica di amore di Dio.
Logica che, precisa il Papa, non segue il “pietismo filantropico” di chi “dà parte del proprio superfluo” in elemosina. “Non è questo l’amore di Cristo!” esclama: “Quando Gesù scende nelle acque del Giordano e si fa battezzare da Giovanni il Battista, non lo fa perché ha bisogno di penitenza, di conversione; lo fa per mettersi in mezzo alla gente, bisognosa di perdono, in mezzo a noi peccatori, e caricarsi del peso dei nostri peccati”.
Proprio questa è la via che il Messia ha scelto per “consolarci, salvarci, liberarci dalla nostra miseria”, una via di povertà che “ci rende ricchi” in virtù del “suo modo di amarci”, espresso in un triplice moto “di compassione, di tenerezza e di condivisione”. Gesù “è ricco”, aggiunge Francesco, come lo è “un bambino che si sente amato e ama i suoi genitori e non dubita un istante del loro amore e della loro tenerezza”. Quindi, è vera l’affermazione di Léon Bloy che “la sola vera tristezza è non essere santi”; ma è pur vero “che vi è una sola vera miseria: non vivere da figli di Dio e da fratelli di Cristo”.
Bisogna, tuttavia, distinguere il concetto di miseria da quello di povertà, precisa il Santo Padre, dal momento che “la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza”. In tal senso, “possiamo distinguere tre tipi di miseria: la miseria materiale, la miseria morale e la miseria spirituale”. La prima, spiega il Vescovo di Roma, “è quella che comunemente viene chiamata povertà”, che tocca “quanti vivono in una condizione non degna della persona umana: privati dei diritti fondamentali e dei beni di prima necessità”, quali cibo, acqua, condizioni igieniche, lavoro, possibilità di sviluppo e crescita culturale. “Di fronte a questa miseria la Chiesa offre il suo servizio, la sua diakonia, per andare incontro ai bisogni e guarire queste piaghe che deturpano il volto dell’umanità”.
In particolare, dice il Pontefice, l’impegno di chiunque si professi cristiano deve orientarsi “a fare in modo che cessino nel mondo le violazioni della dignità umana, le discriminazioni e i soprusi, che, in tanti casi, sono all’origine della miseria”. “Quando il potere, il lusso e il denaro diventano idoli – avverte il Papa – si antepongono questi all’esigenza di una equa distribuzione delle ricchezze”. È necessario perciò convertire le coscienze “alla giustizia, all’uguaglianza, alla sobrietà e alla condivisione”.
Esiste poi la miseria morale, “non meno preoccupante” di quella materiale, perché rende gli uomini “schiavi del vizio e del peccato”. “Quante famiglie sono nell’angoscia perché qualcuno dei membri – spesso giovane – è soggiogato dall’alcol, dalla droga, dal gioco, dalla pornografia!”, esclama il Santo Padre. “Quante persone sono costrette a questa miseria da condizioni sociali ingiuste, dalla mancanza di lavoro che le priva della dignità che dà il portare il pane a casa, per la mancanza di uguaglianza rispetto ai diritti all’educazione e alla salute”. È una miseria, questa, che secondo Bergoglio “può ben chiamarsi suicidio incipiente”.
Tale miseria – prosegue – “è anche causa di rovina economica” e si collega alla miseria spirituale che colpisce “quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore”. “Se riteniamo di non aver bisogno di Dio”, scrive il Papa, perché “pensiamo di bastare a noi stessi, ci incamminiamo su una via di fallimento. Dio è l’unico che veramente salva e libera”. Antidoto contro la miseria spirituale è il Vangelo: “Il cristiano – rimarca Bergoglio – è chiamato a portare in ogni ambiente l’annuncio liberante che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamentemì, sempre”.
L’auspicio è allora che “questo tempo di Quaresima trovi la Chiesa intera disposta e sollecita nel testimoniare a quanti vivono nella miseria materiale, morale e spirituale il messaggio evangelico”. In questo itinerario quaresimale “adatto per la spogliazione”, soggiunge il Pontefice, “ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà”. Non sarebbe valida, infatti, “una spogliazione senza questa dimensione penitenziale”: “Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole”, dice Francesco. E conclude il suo Messaggio con la preghiera che lo Spirito Santo “sostenga questi nostri propositi e rafforzi in noi l’attenzione e la responsabilità verso la miseria umana, per diventare misericordiosi e operatori di misericordia”.