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A tu per tu con Gelsomina Viscone, volontaria del CVM e dirigente dell’I.S.C. di Comunanza

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Di Massimo Cerfolio

COMUNANZA – Abbiamo intervistato Gelsomina Viscione, socia del Centro Volontari per il Mondo nonché Dirigente Scolastico dell’Istituto comprensivo di Comunanza. Una testimonianza di vita vissuta intensamente per amore del prossimo. Nei momenti dell’intervista si è creata un atmosfera “magica”. Ci auguriamo che per i lettori non sia come un racconto che si riveli teatralmente spettacolare, ma che possa risvegliare in ognuno di noi quel sentimento che, anche in piccola parte, ci possa far sentire comunità, con lo sguardo verso il prossimo.

Da quanto tempo collabora come volontaria?
Con l’associazione CVM, con la quale sono partita per l’Etiopia, dal 1999; mentre precedentemente ho fatto parte di altre associazioni sia a Milano che qui nel territorio marchigiano.

In cosa consiste il suo servizio? Presso quale struttura opera?
In Etiopia mi occupavo dei bambini di strada, degli orfani, dei sieropositivi e dei malati di AIDS, mentre qui mi occupo del settore intercultura e degli immigrati.

Quali sono state le sue prime impressioni all’arrivo in Etiopia?
Devo confessare che è stato molto destabilizzante, anche perché avevo lasciato qui in Italia delle sicurezze forti, in termini di lavoro, di amici e di familiari, mentre lì la non conoscenza della lingua locale, della cultura mi hanno fatto sentire i primi quattro-cinque mesi molto spaesata e persa, tanto è vero che molte volte ho pensato di tornare indietro.

Ci può raccontare la storia dell’Associazione dei Volontari del CVM e quali sono le sue peculiarità?
La CVM, che prima era comunità volontari marchigiani, è nata nel 1978 circa ad opera di alcuni volontari che erano partiti per il servizio civile. Ovviamente, stiamo parlando di un servizio civile ante litteram, perché proprio allora si stavano ponendo le prime basi per questo servizio. Questi ragazzi hanno così deciso di costituire questa associazione. La sede legale era ad Ancona e poi sono nate altre sedi a Porto San Giorgio, in Abruzzo a Milano. Ci occupiamo fondamentalmente di tre cose: dell’approvigionamento idrico, quindi di dare acqua pulita alle popolazioni, della cura dei bambini orfani e di strada e poi del problema dell’Hiv e dell’Aids con un programma indirizzato alle persone colpite da questa terribile malattia.

Le motivazioni che la hanno spinta a fare volontariato? Perché ha scelto proprio quel servizio?
Per me, fare volontariato, in linea di massima, è proprio una scelta di vita, perche’ ritengo che ognuno di noi, debba dare una parte di sé per coloro che nella vita non hanno avuto le stesse possibilità o opportunità. Partire per l’Africa è stato un po’ un sogno che si realizzava, si può dire che sin da bambina io ho avuto l’idea di partire e questo sogno è diventato sempre più forte perché, sia a Milano che qui, attraverso il mio lavoro, ho avvicinato moltissime famiglie d’origine non italiana e quindi volevo davvero provare di persona cosa volesse dire buttarsi in un contesto di cui non si conosce nulla, quindi destrutturarsi per poi ricostruirsi. Ritengo di essere stata fortunata, perché ho avuto modo di esprimere i miei talenti e le mie potenzialità e, se si ritiene di avere acquisito delle competenze, è giusto metterle a disposizione degli altri.

Quali emozioni si provano operando in questo servizio?
Le emozioni sono talmente tante che è difficile davvero descriverle tutte, perché per quanto uno possa inviare lettere, diapositive, e’ difficilissimo raccontare quello che c’è in un paese come l’Etiopia il livello di vita. All’inizio è una sensazione negativa, fai fatica a reggerla, poi diventa un’emozione forte e positiva quotidianamente, poi lentamente ti immergi dentro ed elimini tutte quelle che possono essere le sovrastrutture, le scorie che ti porti dentro dal mondo occidentale e raggiungi proprio il nocciolo della vita, perché le necessità sono talmente tante che davvero nient’altro esiste, per cui il bambino di strada che si ammala di malaria necessita subito di essere aiutato, l’orfano senza un brandello di camicia, la sieropositiva che non riesce a scendere le scale… sono talmente tante che è difficile elencarle tutte. Ma un’altra cosa che mi viene in mente è che, pur in mezzo a tanta sofferenza, è un umanità che sorride, cosa che qui da noi ormai si è persa. Nonostante tutto, hanno il senso dell’ospitalità, dell’accoglienza di mettere in comune quel poco che hanno.

Quali sono gli episodi o gli aneddoti più ricchi di significato?
Un giorno, mentre ero nell’ufficio dove lavoravo, arriva una donna sieropostiva, notavo che faceva fatica a salire le scale, inizia a parlare con me, tergiversa, girava intorno, alla fine capisco che aveva bisogno di chiedermi qualcosa che non osa, e gli chiedo: “di cosa hai bisogno?”. Allora lei mi dice che ha la tubercolosi e che deve prendere un po’ di cibo per tamponare quei forti antibiotici e che però non aveva i soldi per comprare da mangiare. Racconto questo proprio perché la dignità di questa persona, la difficoltà nel chiedere in fondo qualcosa di veramente poco, è veramente incredibile.
Vi racconto un altro episodio. Vicino al mio ufficio, abitava un bambino che poi è morto di AIDS, nato con l’AIDS da mamma sieropositiva, questo bimbo non parlava, si esprimeva solo con gli occhi e negli ultimi giorni di vita quello che chiedeva era semplicemente del cibo.

Qualche rammarico o nostalgia?
Sono ritornata dopo quattro anni circa, perche ormai non ero più in grado di rimanere fuori dalle storie, per cui stavo veramente male . Oltretutto, abitando da tre anni nella stessa cittadina, mi conoscevano tutti i bimbi di strada e si rivolgevano a me per qualsiasi problema. Mi sono resa conto che avevo raggiunto il limite, anche perché non dormivo più la notte, perché io ero nel letto con la zanzariera e loro erano sotto le verande soprattutto durante la stagione delle piogge. Quindi il rammarico è di non aver saputo in quel momento affrontare la crisi per poi rimanere. La nostalgia è tanta! Se fosse in mio potere, partirei domani! E’ brutto dirlo, ma credo di appartenere e di sentirmi più vicino a quel mondo che a questo.

Quindi il mal d’Africa c’è tutto?
Si! Ma non è fatto di tramonti e di spazi senza fine, come spesso si immagina,anche quello per carita’. Il mal d’Africa è l’umanita’ che si incontra che è un umanita’ che ti riporta all’essenza della vita e ti riporta ai veri valori di base.

Come si può entrare a far parte Associazione dei Volontari del CVM?
Basta andare nella sede di Porto San Giorgio e ci si può impegnare a vari livelli. Semplicemente impegnarsi nelle varie campagne: quella natalizia( con la vendita di torroni), quella pasquale ( con la vendita di uova di pasqua) oppure con la vendita di vino, mille modi insomma.

Lo consigliereste ad altre persone come esperienza da fare?
Lo consiglierei soprattutto ai giovani, anche attraverso il servizio civile internazionale, rendendolo a mio parere obbligatorio. La motivazione per me fondamentale è che il volontariato è uno stile di vita con al centro l’attenzione verso il prossimo.

Quale, in conclusione, il bilancio di questa meritoria e, crediamo, gratificante esperienza?
Io credo che mi abbia cambiato totalmente, e soprattutto questo cambiamento mi ha portato a vivere con disagio qui nell’occidente, anche se poi devo confessare che non riesco ad essere completamente indenne dalle sirene del consumismo, però cerco di controllarmi. Ma devo dire che l’Etiopia è diventato il mio secondo paese, o forse il primo, non so come dire , perche’ ho lasciato amici, contesti e situazioni che mi continuano ad interpellare, per cui ,davvero e’ stata un esperienza proprio totalizzante,che mi ha cambiato profondamente, ha radicalizzato certi miei valori e certe mie posizioni ecco. Però nello stesso tempo mi ha lasciato un po’ …come dire priva di alcune difese rispetto ai mali che si continuano a perpetuare.