Sottesa alla nostra storia visibile e concreta, tessuta di eventi documentabili e misurabili, scorre un flusso diverso che richiede uno sguardo speciale per essere rilevato e gustato: lo Spirito Creatore che continua ad aleggiare, in una creazione continua che si evolve ed è a servizio della persona e dei popoli.
La Chiesa vive proprio questa duplice tensione vitale, ben radicata nel tempo e nella storia e, simultaneamente, con lo sguardo al dono continuo di Dio e alla salvezza cui tutti possano e desiderino tendere. Qui risiede la ragione per cui la Chiesa e tutto quanto ne promana in azioni, soccorsi ed aiuti, non può essere fiscalmente misurabile con criteri umani a lei estranei e provenienti da ideologie sulla cresta dell’onda. È notorio quanto poi duri la cresta dell’onda…
Benedetto XVI lo ha dolorosamente afferrato e vissuto sulla propria pelle. Il suo gesto profetico, quello non di abbandonare la nave e di ritirarsi su di un’isola fantastica e degna del paese di Bengodi, ma di cederne il timone perché lo Spirito potesse soffiare con più vigore sulle vele tese, si rivela, di giorno in giorno sempre più pervaso dell’unzione dello Spirito stesso.
L’olio con cui siamo stati unti, il sacro crisma, ci dona occhio limpido per forare l’orizzonte, mente lucida per distinguere il bene di chi ci è affidato, pace dell’animo che si colloca esattamente là dove il Padre ci vuole.
A nuovo soffio, nuovo timoniere. A nuova temperie, nuovo scrutatore dei segni dei tempi.
Non viltà ma intelligenza nella vita dello Spirito.
Non codardia ma puro coraggio nell’affrontare i propri limiti.
Non senilità incombente ma vigore giovanile di acume storico.
L’annuncio fu drammatico, forse colse di sorpresa per la sua repentinità, una sorta di fulmine a ciel sereno.
I commenti, con ogni registro di supposizioni, retropensieri, si sprecarono.
Ben pochi furono coloro che ne colsero l’ampio spettro profetico. Non intenso nel banalizzante ed orgoglioso “io oggi colgo il futuro che nessuno ancora scorge”, ma nel pregnante e liberante “Ora, dopo matura riflessione, intensa preghiera, accetto su di me il disegno dello Spirito e mi dono, scomparendo dalla scena, a tutta l’umanità e a tutta la Chiesa”.
Per il popolo italiano che, notoriamente, viene considerato fra quelli che tengono in maggior pregio il fattore “non perdere la faccia”, constatare come un tedesco, dalla tempra insieme mite e d’acciaio, come quella di Benedetto XVI, fosse capace di correre il rischio di perderla, fu una lezione maestra di stile, evangelico ed umano.
Sarebbe banalizzante ripercorrere gli eventi, opachi e luminosi, incisivi sempre, di questo ultimo anno per segnarli con un più o un meno.
Equivarrebbe cedere la propria dignità di pensiero evangelico per assumere quella dell’ultima corrente imperante (per esempio il gender!) che si sta costruendo il suo grattacielo di Babele, dimenticando che noi viviamo nella tenda di Abramo, pellegrini nella storia.
Tutto va letto nell’ottica di un dono grande che schiude orizzonti nuovi e consente alla vela di dispiegarsi sempre con più ampiezza e di essere gonfia solo del soffio dello Spirito.
Quanto poi tutto questo si debba a quell’azione silenziosa e misteriosa della continua preghiera d’intercessione di Benedetto XVI che, nel silenzio della sua vita, si consuma per noi, per l’umanità e per la Chiesa, non è immediatamente valutabile e sottoposto al rating di un bilancio ma appartiene a quel mistero di cui si possono gustare solo alcuni tocchi lievi ma certi.
La sua pienezza ci sarà palese solo quando vedremo Dio faccia a faccia e capiterà, prima o poi, anche ai dominatori odierni, agli opinions makers delle pseudo culture imperanti, grandi e opulenti giganti dai piedi d’argilla.
Il nostro grazie ad un Pastore lungimirante, disinteressato e capace di gesti gratuiti, si fa, a nostra volta, preghiera e ammirazione sincera.