di Paolo Bustaffa
Non è garantito il rispetto delle esigenze delle persone disabili, quando come tutti i cittadini, devono spostarsi , muoversi, viaggiare anche con i mezzi pubblici: l’Unione europea richiama l’Italia e chiede risposte entro due mesi.
La notizia, arrivata in questi giorni da Bruxelles, è nelle pagine interne dei quotidiani, spesso nel cosiddetto taglio basso. Una collocazione che non esprime particolare attenzione per una realtà umana e sociale le cui dimensioni sono sotto gli occhi di tutti.
Nulla di nuovo anche perché in questi ultimi tempi le tirate di orecchie da parte dell’Ue al nostro Paese sono abbastanza frequenti e assomigliano un po’ a quelle di una maestra severa nei confronti di alunni monelli.
Sono richiami che per alcuni hanno il sapore dell’ingerenza e così le risposte, nonostante ne siano fissate le scadenze, rischiano di essere messe in lista d’attesa in nome di una crisi che impone altre priorità.
Difficile muovere obiezioni sul piano economico, o meglio contabile, tuttavia l’ammonimento Ue di questi giorni che si aggiunge a quelli sulle carceri e sulle immigrazioni, pone qualche interrogativo a un Paese che ha sempre testimoniato ed “esportato” in tutto il mondo una grande sensibilità umana.
Su un’altra crisi, più profonda di quella economica, si è dunque chiamati a riflettere.
I richiami Ue negli ambiti della emarginazione e della vulnerabilità, anche quando riguardano aspetti particolari come quello del trasporto pubblico delle persone disabili, possono essere intesi come un bussare alla coscienza di un popolo.
Coloro che vivono in specifiche situazioni difficili non sono in attesa di trattamenti di favore. Neppure contrappongono le proprie esigenze a emergenze drammatiche quali sono i giovani senza lavoro e le famiglie esposte al rischio della povertà. Pongono domande di civiltà, di giustizia, di solidarietà.
Si può anche discutere, in una sede più titolata, se l’Ue abbia o non abbia autorità per avanzare certi richiami ma la realtà non può essere taciuta e questa realtà dice del rischio di tenere solo nell’ambito dell’assistenza ciò che appartiene all’ambito del diritto di ogni persona di vedersi riconosciuta tale quando la disabilità diventa compagna di vita.
È vero, il volontariato è sul campo a testimonianza della cultura della solidarietà di un popolo ma è proprio questa presenza di gratuità a richiamare la cultura, la politica e le istituzioni al dovere di includere i più deboli e i più indifesi nei pensieri i e negli impegni per il bene comune soprattutto quando la strada per raggiungerlo diventa impervia.
Non ci sono pretese irragionevoli, non si pone il tema dei diritti dimenticando quello dei doveri e dei sacrifici. Allora, se è difficile dare risposte risolutive e immediate non devono però mancare alcuni segnali per dire con i fatti che le persone più fragili sono ancora nel cuore della politica e delle istituzioni.
Proprio nei momenti più difficili bisogna evitare che abbia “razionalmente” la meglio quella cultura dello scarto contro la quale un Papa non si stanca di mettere in guardia credenti e non credenti .
Nei momenti più difficili la differenza cristiana si manifesta in un soprassalto di umanità e di civiltà. Si esprime con una risposta credibile all’egoismo e alla paura di chi di fronte alla gravità di una crisi vorrebbe motivare la cultura dello scarto.
Anche un richiamo dell’Ue può essere una salutare provocazione.
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