Quella che sino a pochi giorni fa sembrava una legislatura nata morta per mancanza di vincitore certo, si sta palesando come una legislatura di lungo, se non lunghissimo corso. Tutto merito di Matteo Renzi e di Giorgio Napolitano? Difficile dirlo. Di sicuro, noi cittadini elettori stiamo assistendo a un fatto politico nuovo, del quale dobbiamo decifrare ancora tutte le conseguenze. Non ci aiutano, di certo, le analisi che stanno accompagnando la nascita del nuovo governo. Il non detto sembra prevalere sull’affermato pubblicamente, le ombre delle stanze di decisione sembrano avere la meglio sulla luce delle pratiche pubbliche, le battaglie private concluse sembrano avere il sopravvento sulla tregua pubblica sottoscritta. Difficile sottrarsi alla sensazione, sgradevole, di qualche interferenza sulla scena pubblica italiana.
Perché prevale tanto ottimismo? Da dove emerge tutta la voglia di andare in soccorso del vincitore? Dove era nascosta tanta maturità della classe politica italiana? Dov’è maturata tutta la consapevolezza di queste ore che fa convergere pensosi consensi e garanzie di “opposizione responsabile”? Non vivessimo in Italia, dove sino a qualche giorno fa, sembrava dovessimo tutti noi (cittadini e istituzioni) portare i libri in Tribunale, verrebbe da gridare “al miracolo”. Forse, ma è solo un’illazione, in tanti hanno capito di essere arrivati a lambire l’orlo del baratro. E prima di precipitare – ancora forse – in molti, nelle stanze che contano, hanno fatto due conti e hanno deciso di scommettere su Renzi e Napolitano. Una scommessa fatta persino a occhi chiusi e dita incrociate. Comunque, una scommessa da “la va o la spacca”. Magari annusando l’aria di una vaga ripresa economica accompagnata dalla speranza che in Europa accada qualcosa. Che la paura dei populismi arrembanti in ogni angolo del Continente spinga i potenti d’Europa (Mekel in primis) a guardare all’Italia come un fratellino da aiutare, piuttosto che come uno scolare indisciplinato da relegare dietro la lavagna. Fuor di metafora, meglio rivedere il vincolo del 3% sul rapporto Deficit-Pil che venire travolti dalla vandea populista. Non possiamo dire quanto contino tutte queste motivazioni, in ogni caso ci prepariamo a una stagione politica nuova che si annuncia interessante. Almeno per chi deve decifrarla e raccontarla.
Altre invece saranno le valutazioni sul piano della fisiologia dello scontro democratico, sulla necessità di intervenire vigorosamente sull’architettura dello Stato, sull’opportunità (sino a ieri un mantra) di mettere mano alle riforme costituzionali e alla definizione di una nuova legge elettorale, sull’urgenza di snellire tutte le procedure pubbliche che frenano la libera iniziativa economica e rendono impossibile la vita delle famiglie e delle imprese, sulla revisione dei livelli di tassazione che ormai tolgono fiato agli onesti e ai produttori. L’elenco potrebbe continuare, ma ci fermiamo qui.
Sommessamente esponiamo solo le nostre di urgenze. Di noi semplici cittadini elettori. Siamo ben consapevoli che contano poco o niente e non abbiamo la pretesa di rappresentare nessuno, anche perché come dice Papa Francesco non bisogna avere “l’assurda pretesa di trasformarsi in ‘voce’ dei popoli, pensando forse che essi non la abbiano. Tutti i popoli ce l’hanno, magari ridotta a volte a un sussurro a causa dell’oppressione. Bisogna aguzzare l’udito e ascoltarla, ma non voler parlare noi al loro posto”. Dunque, nella consapevolezza di non interpretare e di non rappresentare nessuno, se non noi stessi, ci permettiamo di suggerire al nuovo governo di tenere a cuore i poveri, il lavoro, le famiglie e la scuola. E facciamo ai governanti un semplice augurio: ascoltate il sussurro del vostro popolo. In quel sussurro c’è tutta la sua sovranità.