DIOCESI – Si è tenuta nella serata del 20 febbraio, l’incontro del Vescovo Carlo con la sezione diocesana di San Benedetto del Tronto dell’associazione A.M.C.I., presso la struttura della chiesa dei Sacramentini. Dopo un momento di preghiera, il dott. Fioroni Alfredo, presidente dell’A.M.C.I., ha fatto gli onori di casa con un riassunto della storia dell’associazione in questa diocesi, partendo dalla nascita, lungo tutta l’evoluzione fino ad arrivare alle ultime attività organizzate. https://www.ancoraonline.it/2014/01/20/lassociazione-medici-cattolici-italiani-della-diocesi-da-il-benvenuto-al-vescovo-bresciani/
A seguire, l’intervento del Vescovo Carlo che, ricordiamo, tra il 1982 e il 2001 è stato assistente ecclesiastico A.M.C.I.. Dopo i ringraziamenti, Sua Eccellenza ha impostato il suo discorso, interessante, esaustivo e pragmatico sul senso dell’appartenenza ad un’associazione professionale cattolica come l’A.M.C.I. : “Quando serviamo bene l’uomo noi facciamo la volontà di Dio, perché la volontà di Dio è il lavoro dell’uomo vivente. Certo, nello svolgimento quotidiano del nostro lavoro, va data per scontata la preparazione tecnica e il continuo aggiornamento scientifico: non possiamo vantare un titolo di “cattolico”, se non ci interessiamo innanzitutto di essere, per quanto possibile, competenti per il tipo di professione che andiamo a svolgere, altrimenti il cattolico diventa una copertura che non va bene. Il primo modo di presentarci come cattolici è fare bene la nostra professione nei confronti del malato: il medico cattolico deve essere conosciuto innanzitutto per questo“.
Però il compito di curare la propria preparazione e competenza, dipende dalle associazioni professionali e dallo studio personale e così via. Allora, perché un’associazione cattolica? Non basta fare il medico?
“La mia risposta è no – risponde il Vescovo a queste domande – Non basta il sapere tecnico perché c’è sempre di mezzo la dimensione etica del nostro vivere. Non è solo fare bene il bene, ma è anche la motivazione del nostro fare, che non ci è data dalla conoscenza tecnica. Io posso avere tutte le conoscenze tecniche, ma mancare della motivazione o avere la motivazione sbagliata. Riflettere su questa dimensione etica, vuol dire essere pienamente uomini dentro la propria professione e non semplicemente dei distributori automatici. E poi la dimensione etica è anche: quale relazione voglio con il paziente che assisto? La tecnica senza amore è disumana, anche quando fosse perfetta dal punto di vista tecnico, perché vogliamo prima essere riconosciuti come uomini, e poi curati; quindi, è chiaro, che al centro c’è l’umanità e la personalità del professionista. Nella professione allora siamo chiamati tutti a vivere la nostra vita cristiana, perché da cattolici non possiamo non vivere la nostra fede dentro la professione, non possiamo separarle, perché significherebbe separare la nostra identità. Perché associazione cattolica? Perché la visione dell’uomo, da cui noi partiamo, non può essere cha una visione integrale dell’uomo, e cioè fisico, psichico e spirituale. L’essere umano non è soltanto un corpo, non è soltanto psiche ma è anche spiritualità, è anche uno che si pone delle domande, si interroga sul senso della vita o vive una religiosità”.
Questa visione integrale vuol dire pensare e individuare nuove tecniche e approcci alla cura che siano rispettosi dell’aspetto fisico, psichico e dell’aspetto spirituale. L’integralità dell’uomo è in crisi per lo sviluppo scientifico, per certi aspetti turbolento e per certi aspetti meraviglioso e auspicabile, che ci crea qualche difficoltà nel capire se le nuove tecniche possano essere applicate nel rispetto delle finalità dell’essere umano o no. Lo sviluppo scientifico non deve considerare solo l’aspetto biologico, il quale non riesce a cogliere tutta la dimensione dell’uomo, come la prospettiva attualista, che si contrappone a quella ontologista; per esempio se si parla di embrione la prospettiva attualista guarda alle caratteristiche attuali dell’embrione e quindi ritiene che l’embrione non ha le qualità dell’adulto, non le ha allo stato attuale, mentre la prospettiva ontologista ritiene che le qualità ci sono già tutte anche se non sono ancora perfettamente sviluppate, ma potenzialmente ci sono e questo pensiero rispecchia una visione dell’uomo “integrale”.
Quindi è importante, ha sottolineato Sua Eccellenza, che ci sia una continua integrazione dello sviluppo, un continuo discernimento della validità delle applicazioni delle nuove tecniche sulla persona umana e in questo è molto importante la visione che l’antropologia cristiana dà dell’uomo considerato nella sua interezza. E’ importante capire quali sono le conseguenze delle nostre azioni sull’altro. Quindi cattolici non solo perché si va a messa ma perché quello che viviamo durante la messa poi lo portiamo dentro la nostra professione. Il termine cattolico non richiama forme di chiusura ma richiama lo sforzo di dialogare con tutti, senza perdere la propria identità ma approfondendola senza temere di farlo, senza cercare contrapposizioni artificiose, perché tutto diventa ricchezza per il bene di tutti gli uomini, anche di quelli che non credono, di tutto l’uomo nella sua interezza fisica, psichica e spirituale, di ogni uomo dal concepimento fino alla fine della vita. L’associazione professionale cattolica aiuta a riflettere insieme su queste tematiche perché, nelle questioni della ricerca, non sempre tutto è immediatamente chiaro e la complessità della vita non ci permette semplificazioni drastiche che ci porterebbero a perdere qualcosa di valido. Siamo tutti chiamati ad essere cristiani cattolici, non individui, non persone sole e anche in questo l’associazione ci aiuta nel dialogo e nel sostenerci a vicenda per non scoraggiarci, per avere stimoli positivi, perché anche una presenza visibile e sostanziosa contribuisce a servire meglio l’uomo.
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