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La suora e la miss donne come noi

Di Emanuela Vinai
Cosa mai possono avere in comune una suora di 84 anni e una miss di 23? Più di quanto si possa pensare. Sicuramente, e ce lo racconta la cronaca di questi giorni, il coraggio di spendersi per le proprie convinzioni e pagarne il prezzo in prima persona. Senza provocazioni inutili o notorietà improvvisate.
Megan Rice è una suora statunitense che nel 2012, insieme ad altri due pacifisti cattolici, entrò in una centrale nucleare durante una protesta, issando striscioni e scrivendo con la vernice spray: “Lavorate per la pace non per la guerra”. Alla vigilia della sentenza la religiosa aveva dichiarato a un giornale del Tennessee, rivolgendosi ai giudici: “Non abbiate clemenza, rimanere in carcere per il resto della mia vita sarebbe per me l’onore più grande. Spendiamo più per le armi nucleari che per istruzione, salute, trasporti, protezione civile e molti altri settori”. È stata ritenuta colpevole di sabotaggio e condannata a scontare tre anni di carcere. Genesis Carmona invece aveva 23 anni, studiava marketing all’Università ed era così bella da essere stata incoronata Miss Turismo dello Stato di Cabobo nel 2013. Nel Venezuela in fiamme per le contestazioni al presidente Nicolas Maduro, la ragazza è scesa in piazza, studentessa tra gli altri studenti, per protestare contro la crisi e la mancanza di generi di prima necessità. Colpita da un proiettile alla testa, è morta nonostante un disperato trasporto in ospedale a bordo di una motocicletta. La foto del soccorso, che ha fatto il giro del mondo, ha la forza straziante di una Pietà michelangiolesca.
Megan e Genesis non si conoscevano e avevano esistenza e storie molto diverse. Eppure, arrivate a un incrocio di vita intricato in cui esserci era più importante che partecipare, hanno scelto. Non si sono limitate a cliccare “mi piace” da un comodo profilo su un social network, ludica e diffusissima attività che consente di sentirsi virtuosamente impegnati nella società, senza però rischiare nulla più di vari commenti dissidenti. E nemmeno hanno pensato, a prescindere dall’età e dal ruolo dell’una e dalle personali convinzioni dell’altra, che bastasse inscenare una ribellione incentrata sulla nudità provocatoria. Che oggigiorno sembra che l’unica protesta femminile presa in considerazione dai media sia quella che prevede l’esibizione senza veli. Dalle Femen in giù, i giornali narrano anche le gesta adamitiche di professioniste d’alto bordo (e di più basso stile).
Ci avete fatto caso? Dalla contrarietà alle pellicce alla protezione animali, dalla beneficienza alla raccolta fondi, ogni due per tre viene spogliata una donna. Studentesse, impiegate, sportive, casalinghe: tutte nude, per carità. Al netto delle anonime modelle per un giorno, surclassate dai “selfie” di adolescenti smaliziate, questa consuetudine si conferma una furba scorciatoia per stelline in calo di popolarità che cercano un rilancio d’immagine. E se ci si permette di esprimere almeno un vago disagio per l’operazione di marketing, si è subito tacciati di bigottismo (i soliti oscurantisti cattolici), scarsa elasticità mentale (hanno scelto liberamente di spogliarsi), mancanza di solidarietà (lo fanno per una buona causa), invidia (se critichi e sei una donna, sicuramente sei una cozza).
Ora, avete mai visto un uomo che per far valere sacrosante ragioni si esponga nudo e ammiccante da pagine patinate? Non sforzatevi, la risposta è no. E allora perché è “normale” svestire una donna? La miss e la suora, ribelli e contestatarie, riescono ad essere, a loro modo, un’icona. Insieme alle migliaia di altre donne che si sforzano ogni giorno di battersi per una giusta causa con ancora tutti i vestiti addosso.
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