Dalla “terra dei cachi” alla “terra dei fuochi”. Dalla denuncia dei mali del Bel Paese di Elio e le Storie tese nel 1996 al grido di dolore, ma anche alla voglia di riscatto, del diciannovenne rapper salernitano Rocco Hunt, vincitore della sezione Nuove Proposte al Festival di Sanremo 2014. Le luci della ribalta del palco dell’Ariston ancora una volta fanno da sfondo non solo a note di leggerezza, ma a una denuncia di qualcosa che non va, di un dramma come quello della terra dei fuochi, dove rifiuti tossici e roghi hanno seminato e continuano a seminare morte in un’area che gli antichi romani chiamavano Campania felix. “Questo posto non deve morire. La mia gente non deve partire. Il mio accento si deve sentire. La strage dei rifiuti, l’aumento dei tumori. Siamo la terra del sole, non la terra dei fuochi”, canta il giovane Rocco in “Nu juorno buono”. Le lacrime del rapper al momento dell’annuncio del suo trionfo sanremese sono le lacrime di un popolo, che vuole finalmente vedere che “la storia è cambiata” e, anche se la vita offre momenti di dolcezza e di dolore, vuole essere protagonista di un cambiamento. Nelle parole di Rocco c’è una generazione che non vuole essere costretta a emigrare, ma si vuole rimboccare le maniche perché anche al Sud possano fiorire “nuove aziende”. Perché, come gli ha insegnato la mamma, “nu suonn’ se realizz’ te cancellass’ tutte e’ rughe e tutte e cose trist’” (un sogno che si realizza cancella tutte le rughe e tutte le cose tristi).
Ma un “giorno è buono” anche se si sa guardare all’altro come un fratello, vincendo la violenza che “è stata sempre il metodo di chi non ha cervello”. E, soprattutto, se si taglia “quella linea che divide Nord e Sud”. Nella canzone di Rocco Hunt non c’è niente di quel fatalismo e di quella rassegnazione che tanto spesso vengono associati alle popolazioni del sud. È un invito a sapere guardare il positivo, c’è il sole, per affrontare in modo diverso le sfide di ogni giorno. Oggi sulla pagina Facebook del rapper c’è il suo “grande, immenso Grazie” a tutti. Siamo noi a dirgli grazie, perché ci ricorda che anche nel Sud c’è voglia di fare, sorridere, amare.