Di Maria Chiara Biagioni
Un forte appello per la pace e l’unità dei popoli in Crimea. Perché siano scongiurati estremismi e spargimento di sangue e il Paese continui a dare esempio di concordia e “fratellanza”. A lanciarlo dalla città di Simferopoli, capitale della Crimea, è monsignor Jacek Pyl, vescovo ausiliare della diocesi cattolica di Odessa-Simferopoli, responsabile per la Crimea. Il Consiglio delle Chiese di Crimea, il cui presidente è un vescovo ortodosso del Patriarcato di Mosca, ha scritto una lettera alla popolazione. Raggiunto telefonicamente dal Sir il vescovo Pyl racconta: “Per tanti anni in Crimea c’è stata la pace tra le diverse confessioni religiose e nazionalità. Un Paese abitato da persone di origine russa, tartari di Crimea, ucraini, polacchi, armeni, cechi e tedeschi. E sempre abbiamo vissuto in concordia. Ora dobbiamo conservare questa pace tra noi. Abbiamo tutti un Padre nel Cielo e siamo tutti figli di un unico Dio e quindi fratelli tra noi. Il comandamento della carità è quello che deve guidare oggi il nostro popolo”. Il vescovo dice che “il pericolo per la pace sarebbe un intervento esterno”. E aggiunge che “la Chiesa cattolica non prende posizioni politiche, non sostiene nessun partito. Noi vogliamo solo richiamare al dialogo e ribadire che ogni cambiamento deve avvenire pacificamente, e che solo il dialogo e la preghiera possono risolvere le situazioni e non la violenza e gli scontri”.
Un Paese “fiorito nell’unità”. Il vescovo Pyl ha inviato personalmente una lettera-appello di pace alla popolazione, invitando i fedeli cattolici alla preghiera e al digiuno perché si trovi una “soluzione pacifica” ai problemi del Paese. “Con la nostra preghiera ci rivolgiamo alle persone di tutte le religioni, opinioni politiche e appartenenza etnica”. “Chiedo in nome della solidarietà con l’eredità dei nostri padri che hanno fondato la Repubblica autonoma di Crimea, di stare lontano dagli estremismi e non permettere in questo momento difficile di rompere la fratellanza che unisce tutti i popoli della Crimea”. “Non possiamo permettere che la nostra appartenenza etnica né la nostra religione ci dividano proprio ora. Noi siamo figli dello stesso Dio, l’unico Dio, che è nostro Padre comune”. Il vescovo ha quindi ricordato il motto che è iscritto nello stemma della Repubblica di Crimea “Ïðîöâåòàíèå â åäèíñòâå” (Fioritura nell’unità): “Possano queste parole essere il nostro motto in questo difficile momento”.
Il coraggio di vivere normalmente e pregare per la pace. “Parlare della situazione nel Paese – racconta da Odessa il vicario generale della diocesi, padre Krzysztof Kontek – è molto difficile perché la parte meridionale e orientale dell’Ucraina e in particolare la Crimea non accetta cosa è successo a Kiev con il cambiamento del governo. Sono in corso forti proteste pro Russia e sono stati presi i due aeroporti della Crimea, a Simferopoli e Sebastopoli. Non sappiamo davvero che cosa potrà succedere. Ma la situazione si prospetta molto pericolosa”. Per il momento non sussiste un pericolo reale ma solo “una preoccupazione”. “Non direi che abbiamo paura – dice padre Kontek -. Cerchiamo di vivere e lavorare normalmente. Ma soprattutto preghiamo e incoraggiamo le persone a dialogare”.
Appello alla comunità internazionale. In una delle ultimissime dichiarazioni, la Chiesa cattolica ha chiesto alle persone “di pregare, di mantenere la calma, di non sostenere nessun movimento radicale. Di essere promotori di dialogo. E questa settimana – racconta sempre il vicario generale di Odessa – tutti i giorni in tutte le parrocchie cattoliche abbiamo recitato preghiere speciali per la pace in Ucraina alla fine della messa”. Dunque, ora l’obiettivo è quello di non radicalizzare le posizioni. “La situazione in Crimea – conferma padre Kontek – è estremamente complicata. Il Paese si trova in una posizione anche geografica molto particolare che ha segnato tutta la sua storia. Oggi la tensione sta crescendo e crescerà purtroppo”. “Vorrei quindi ripetere – aggiunge il sacerdote – quello che i nostri vescovi stanno dicendo, e cioè incoraggiare il dialogo proprio in queste ore di tensione, spingere le parti in conflitto a risolvere la questione sul piano del dialogo e non con gli scontri. Noi abbiamo anche bisogno di un maggiore coinvolgimento della comunità internazionale non in termini di armi, ma a livello politico e diplomatico affinché spingano tutte le parti a sedere attorno ad un tavolo e parlare per cercare una soluzione pacificamente. La comunità internazionale può svolgere un ruolo importante”.