“Diffido dall’elemosina che non costa e non duole”. Questo è un passaggio del Messaggio del Papa per la prossima Quaresima, sul quale vale la pena soffermarsi, quasi si trattasse della chiave di volta. L’elemosina, unita alla preghiera e al digiuno, caratterizza il periodo penitenziale che ogni anno la Chiesa propone ai suoi fedeli. Perché deve far provare un po’ di dolore? Il Santo Padre dice: “duole”!
L’elemosina è, innanzitutto, un atto interiore: significa avere pietà, muoversi a compassione per la condizione di un altro; già per questo motivo non la si può ridurre a dare qualche spicciolo frettolosamente ad un povero all’angolo di una strada. Richiede uno sguardo ampio sulla persona al fine di capire quale siano le vere necessità non solo di ordine materiale, ma anche spirituale e morale. In questo senso non sempre una moneta è la risposta adeguata. L’elemosina impone una spogliazione interiore: uscire dalla sicurezza che il benessere ancora riesce ad assicurare ai più per entrare nell’indigenza di chi domanda: è una sorta di conversione! Questo è lo stile di Dio.
“Gesù Cristo da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor. 8,9). C’è, dunque, un riferimento, cui guardare. Cristo, il Figlio eterno di Dio, uguale in potenza e gloria con il Padre, si è fatto povero. “È sceso in mezzo a noi, si è fatto vicino ad ognuno di noi; si è spogliato, svuotato, per rendersi in tutto simile a noi” commenta Papa Francesco. Si è mosso a compassione per la nostra condizione di peccatori e, quindi, di indigenti ed è uscito dal Padre per venire verso di noi. Questo è il primo movimento interiore richiesto dall’elemosina: andare con amore verso l’altro. È venuto ed ha condiviso la nostra condizione umana. Non basta andare: bisogna anche saper stare con i poveri, saper parlare con loro, entrare nel loro mondo, pronti anche a qualche bella sorpresa. Se si corre il rischio dell’incontro non fugace con l’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, si scopriranno cose nuove: le vere aspettative dell’uomo, le necessità reali, le speranze ed anche le piccole gioie della vita quotidiana.
Cristo non è venuto incontro a noi con le mani vuote, ma ci ha portato la sua ricchezza, cioè il suo essere il Figlio. Si è fatto povero per arricchirci, cioè per condividere con noi la relazione filiale che vive con il Padre nello Spirito. “La sua relazione unica con il Padre è la prerogativa sovrana di questo Messia povero”. In questo senso la vera tristezza della vita è “non vivere da figli di Dio e da fratelli di Cristo”. La via intrapresa dal Figlio unigenito diviene il percorso per tutti coloro che vogliono essere suoi fratelli per vivere in relazione filiale con il Padre. Ancora oggi “Dio continua a salvare gli uomini mediante la povertà di Cristo, il quale si fa povero nei Sacramenti, nella Parola e nella sua Chiesa, che è un popolo di poveri”.
Ora, se si vuole trasmettere agli uomini la ricchezza del Figlio nella forma della povertà personale e comunitaria, animata dallo Spirito di Cristo. In tal senso l’elemosina precede, accompagna e segue l’azione evangelizzatrice, a condizione che comporti una reale spogliazione. Diviene quella corrispondenza necessaria alla grazia di Cristo che trasforma i discepoli in strumenti idonei per comunicare la sua presenza che salva. Non si compie l’elemosina per filantropia, ma per favorire l’azione redentrice di Cristo. “La Quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare ad arricchire altri con la nostra povertà”. Anche se un po’ duole.
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