La foto dei carri armati russi a Budapest nel 1956, le foto di gente che si scaglia con i picconi contro il muro di Berlino nel 1989, le foto raccapriccianti del conflitto nei Balcani tra il 1990 e il 2000, le foto che rilanciano la inquietante tensione in Ucraina.
Sono solo alcune delle immagini che scorrono in questi giorni sui video e sulla carta quasi a dire che il crollo di un muro non basta per impedire la costruzione di altri. Sono immagini che rendono ancor più preoccupato il pensiero di chi, già preso nel vortice di un’interminabile crisi, avverte l’arrivo di una strana primavera in questa complessa Europa.
Perfino le stagioni meteorologiche sono cambiate ma il pensiero dell’uomo, scorrendo la cronaca di oggi, sembra fermo alla stagione della diffidenza, del conflitto, del rifiuto, del potere che opprime. E tutto questo, come le foto attestano, è accaduto e accade nella nostra terra europea negli anni successivi alla posa della prima pietra della casa comune. Sono immagini che contrastano con il percorso di riconciliazione e solidarietà avviato con tanta fatica e ancor più speranza da uomini e donne che avevano alzato il capo verso il cielo dopo il buio di due guerre.
Nell’anno 2014 queste immagini irrompono nelle case mentre si pensava, conclusa la tremenda parentesi balcanica, di non essere più costretti a vedere morte, distruzione e odio nella terra della dignità e dei diritti dell’uomo, nella terra in cui abitano popoli che hanno scelto un comune compito e un comune destino e altri chiedono di partecipare a questa avventura.
La cronaca costringe a prendere atto che in diverse aree di questa nostra Europa gli errori compiuti e le ferite subite anche nel recente passato sono stati dimenticati o rimossi. Oggi è la volta dell’Ucraina, un Paese in cui la crudeltà staliniana ha mietuto milioni di vittime. Le forze militari si muovono sul terreno mentre i media mostrano negli occhi dei massimi leader locali e mondiali il gelo della diffidenza e della minaccia di una reazione armata.
La risposta dell’altra parte d’Europa, alla quale anche appartiene il nostro Paese che accoglie un ragguardevole numero di cittadine e cittadini ucraini, si è mossa nella linea di una cultura e di una storia che da oltre sessant’anni stanno ribadendo il primato della dignità e dei diritti della persona.
La politica invece, nonostante gli sforzi compiuti, stenta a prendere una parola comune, ancora non è presente con la necessaria autorevolezza. E questa assenza ripropone la delicatezza e l’importanza delle ormai imminenti elezioni europee.
Ma c’è anche altro ai bordi della cronaca. La Chiesa nel raccogliersi in preghiera per l’Ucraina sta offrendo un segnale di presenza silenziosa e feconda dentro la lacerazione, la sofferenza e la speranza di un popolo. La preghiera non fa notizia, rimane ai bordi della cronaca anche se ha un grande respiro di attualità, anche se nel chiedere la pace e il dialogo è impregnata di passione sociale, politica ed economica. La preghiera non ha mai chiesto e non chiede un trattamento giornalistico particolare ma, pur senza volerlo, pone qualche domanda ai media e all’opinione pubblica. Qualche domanda che viene dall’eredità di Giovanni Paolo II, il Papa del crollo del muro di Berlino, che definiva la preghiera come l’unica azione dell’uomo a cui Dio assicura piena efficacia.
È del tutto ovvio che questo convincimento di chi crede farà sorridere i potenti della terra, i grandi esperti di geopolitica, i più prestigiosi commentatori, molta parte dell’ opinione pubblica. La Chiesa non si scoraggia e non rinuncia a stare con amor nella storia e a bussare alla porta della coscienza dei potenti, dei superbi, dei sicuri di se stessi.
Ai bordi della cronaca la preghiera non è immobile, continuamente suscita e accompagna attese e impegni di pace e di giustizia. Non può diventare notizia la preghiera perché non è fatta di parole normali. Ai bordi della cronaca questa fragile viandante agisce instancabilmente perché si realizzi quel cambiamento del cuore, così fortemente chiesto da papa Francesco, quale condizione irrinunciabile perché finalmente arrivi in prima pagina la notizia che i carri armati e i pensieri di guerra hanno innestato la retromarcia.