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Studiare è una conquista, trenta km a piedi per portare il figlio disabile a scuola

Trenta chilometri a piedi, ogni giorno, per portare a scuola suo figlio Qiiang di 12 anni, affetto da una malattia che gli impedisce di camminare.
Yu Xukang, 40 anni, divorziato – la moglie lo ha lasciato quando il piccolo aveva solo tre anni – ogni mattina, all’alba, si getta sulle spalle la cesta nella quale adagia suo figlio e, tenendogli forte le braccia per evitare che cada, s’incammina verso scuola.
Siamo nella Cina meridionale, nella città-prefettura di Yibin, provincia del Sichuan.
Una volta arrivato lascia il bambino in classe e si reca a lavoro, sempre a piedi, per poi tornare, nel pomeriggio, a riprendere Qiiang e riportarlo a casa.
Tutto questo per non far perdere nemmeno una lezione al suo piccolo.
“Non arriviamo mai tardi”, racconta Xukang sorridendo, orgoglioso del fatto che suo figlio è il primo della classe.
Il modo migliore per ringraziare il papà per tanto sforzo e fatica.
Fa impressione vedere questo padre, curvo sulle spalle, inerpicarsi per gli scoscesi sentieri della sua terra, tenendo stretto a sé quel “carico umano” che trasporta con tanto amore, prestando le gambe al futuro del suo piccolo che vuole andare all’università.
Guardando le foto che hanno fatto il giro del mondo, il pensiero non può non andare alle migliaia di bambini che in diverse zone del globo, soprattutto in quelle povere e di conflitto, affrontano ogni giorno tante difficoltà per andare a scuola.
Come i due piccoli alunni palestinesi di Hebron, che ogni mattina prestissimo, il papà e la mamma affidano a un gruppo di lavoratori pendolari palestinesi che in pullmino raggiungono il loro posto di lavoro a Betlemme. Superati check point e posti di blocco israeliani arrivano stanchi sui banchi di scuola ma felici di poter studiare e costruirsi un futuro migliore.
Sarà paradossale, ma nello stesso giorno in cui i giornali davano la notizia del padre cinese, il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, affermava che nel Bel Paese studiare conviene meno che altrove.
Avere una laurea in Italia, insomma, non rende molto, visti i salari dei lavoratori dipendenti laureati… Colpa, per il Governatore, della “più bassa attività innovativa da parte delle imprese… L’Italia – ha poi aggiunto – è un Paese povero di materie prime che di fatto se deve investire può investire solo in noi, nelle persone…”. Come ha fatto Xukang che si è messo sulle spalle il proprio piccolo e grande tesoro. Quando vedremo l’Italia tornare a fare lo stesso con i propri figli?

Redazione: