Da Zenit di Salvatore Cernuzio
“Adesso torniamo a casa con un buon seme: il seme della Parola di Dio”. Così Papa Francesco ha commentato ieri mattina la chiusura dei sei giorni di Esercizi Spirituali di Quaresima, ad Ariccia. E al “seminatore” mons. De Donatis, il parroco di San Marco Evangelista al Campidoglio, ha detto grazie per le sue predicazioni così profonde e ricche di spunti.
Le ultime due, De Donatis le ha pronunciate due giorni fa e ieri, incentrandosi ancora una volta su due figure bibliche: Pietro e Maria di Magdala. Un uomo e una donna che si trovano di fronte ad un bivio: seguire Cristo o rinnegarlo. Il predicatore, in particolare, descrive il “processo a Pietro” che si svolge negli stessi istanti in cui il Maestro viene processato dal Sinedrio. Già è molto “triste” – ha osservato De Donatis – che in quel frangente l’apostolo non stia fra gli amici di Gesù, bensì con i servi. Ancor più doloroso è sapere che davanti a questi ultimi nega per tre volte di conoscere Gesù, di far parte dei suoi discepoli e perfino di essere un galileo.
Tre “livelli” di rinnegamento – ha spiegato il sacerdote – che si traducono nel prendere le distanze da Dio, dalla Chiesa e da sé stesso. Quando il gallo canta, Pietro è infatti assalito dalla più amara vergogna; ma prima di sprofondare nella più completa rassegnazione, l’apostolo incrocia lo sguardo di Cristo e in esso coglie una sconfinata misericordia e un perdono “gratuito” e “non meritato”.
In fin dei conti, ha osservato il parroco di San Marco, è questa la più vera esperienza di fede: il passaggio del cristiano dai “buoni propositi”, dalle “promesse solenni” di “voler fare del bene per Gesù”, ad una esperienza personale in cui il bene si riceve “da” Gesù. È l’incontro con Cristo che fa sentire “redenti”, non un’idea di Chiesa come “supermarket di valori morali”. E ciò che conta per un cristiano – ha affermato De Donatis – è la consapevolezza “che non importa ciò che facciamo, ma che diventiamo simili a Cristo”.
Sullo stesso filone si è snodata la meditazione di questa mattina, l’ultima di questi intensi sei giorni di Esercizi scanditi dalla preghiera e dalla Parola di Dio. Mons. De Donatis ha concentrato la sua attenzione sulla Maddalena e sulle lacrime che sgorgano dal suo viso davanti al sepolcro vuoto in cui non trova Cristo. “Le singole azioni della donna mostrano come Maria di Magdala non riconosca Gesù finché non è Lui stesso a chiamarla”, ha osservato il predicatore.
La donna viene condotta “gradualmente” da Gesù alla sorgente della fede, attraverso quello Spirito che – ha detto De Donatis – “è il maestro delle lente maturazioni”. La voce del Signore che la Maddalena ode è dunque il simbolo di una chiamata, di una una “vocazione” che le dona “subito” l’impulso ad annunciare questa lieta notizia agli altri. Una evangelizzazione “per attrazione e contagio”, insomma, che – ha concluso il predicatore – forse è la forma più “bella” per portare al mondo il Vangelo di Cristo.
“Don Angelo – ha detto il Papa al sacerdote – io vorrei ringraziarla a nome mio e di tutti noi, per il suo aiuto in questi giorni, il suo accompagnamento, il suo ascolto…”. “Noi – ha aggiunto – adesso torniamo a casa con un buon seme: il seme della Parola di Dio. È un buon seme quello! Il Signore invierà la pioggia e quel seme crescerà. Crescerà e darà il frutto”.
E se “ringraziamo il Signore per il seme e per la pioggia che ci invierà”, ha proseguito Bergoglio, altrettanto “vogliamo ringraziare il seminatore”. “Lei è stato il seminatore – ha detto il Pontefice a mons. De Donatis – e sa farlo, sa farlo! Perché lei, getta giù di qua, getta di là senza accorgersene – o facendo finta di non accorgersene [ride] – ma segna, va al centro, va al segno. Grazie per questo”.
Ha quindi chiesto “di continuare a pregare per questo ‘sindacato di credenti’” e “a volte salutarli da lontano”. Infine ha concluso: “Tutti siamo peccatori, ma tutti abbiamo la voglia di seguire Gesù più da vicino, senza perdere la speranza nella promessa, e anche senza perdere il senso dell’umorismo. Grazie, padre”.
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