Obiettore o non obiettore? È un medico migliore quello che aiuta la donna nell’interruzione volontaria di gravidanza o quello che preferisce di no? La risposta, vista da qui, è discretamente ovvia, ma di questi tempi è in realtà meno scontata di quel che si possa pensare, vista la protervia e il furore ideologico con cui l’equazione “aborto+obiezione=diritto negato” viene prima divulgata sui vari media e poi affrontata su blog e forum in rete. Basta un accenno e si alza immediatamente la contraerea mediatica.
Il motivo del contendere questa volta è stato fornito, per l’ennesimo caso di eterogenesi dei fini, da una conferenza stampa promossa dall’Associazione Coscioni: una coppia, affetta da una rara malattia genetica, ha presentato ricorso alla Consulta contro il divieto di diagnosi preimpianto presente nella Legge 40. Nel racconto, per avvalorare l’assoluta necessità di abrogare questa parte della legge, la donna ha raccontato di un suo aborto “terapeutico” risalente a quattro anni fa, avvenuto in solitudine perché, a suo dire, in sola presenza di medici obiettori. Circostanza smentita dallo stesso ospedale interessato. Ma da qui in poi è stata una valanga: dimenticata la diagnosi preimpianto, tanto che poi la coppia si è vista costretta a lanciare un nuovo comunicato stampa in cui hanno candidamente rivelato che il loro obiettivo era la sola Legge 40, i giornali si sono lanciati in un attacco strumentale e diretto contro l’obiezione e, soprattutto, gli obiettori.
Fatti salvi i politici in carica (e non), raramente capita di leggere nei confronti di una categoria specifica affermazioni così dure come quelle che vengono riferite agli obiettori di coscienza: medici, infermieri o farmacisti che siano. Si sprecano insulti, minacce, derisioni, offese, intimidazioni e si deplora la “violenza” di chi in corsia “brandisce il Vangelo”. Temibile minaccia senza dubbio, che richiama l’inquisizione e le fiamme dell’inferno (“guai a voi, anime prave!”), e, nelle intenzioni di chi la riporta, sicuramente di forza di gran lunga superiore a quella rivendicata con orgoglio dalle pagine di un noto quotidiano di sinistra: vi staneremo! Verbo questo sì terribile, in cui c’è tutta la prepotenza di un termine che evoca liste di proscrizione, caccia senza quartiere, individui braccati senza scampo.
In un susseguirsi parossistico di possibili punizioni per gli obiettori, una delle tesi più sostenute e rilanciate è quella che prevede il divieto di obiezione per i ginecologi. La motivazione è semplice: il mestiere è noto, i suoi incerti pure, e lo specialista del settore sa quali sono le cose che devono essere fatte e non può pensare di rifiutarsi. Punto. Principio interessante. Quindi, per estensione, anche chi sceglie di fare il ricercatore di laboratorio non potrebbe più invocare l’obiezione di coscienza in materia di sperimentazione animale: quando inizi a fare il ricercatore sai benissimo quali sono i parametri dei test, non è che puoi farti venire i dubbi sulla vivisezione. Con buona pace della Lav e della Brambilla.
Screditare gli obiettori montando una campagna stampa negativa è l’unico modo per incrinare un diritto che trova nella legge il suo fondamento e che non può essere limitato o abolito in un campo senza trascinare con sé anche gli altri. E allora ecco sbandierati i dati sulla mancata garanzia del servizio di Ivg che denunciano una cronica carenza di personale non obiettore, così da pregiudicare lo svolgimento delle procedure abortive. Peccato che i numeri forniti dagli stessi ospedali, raccolti nell’annuale relazione del ministero della Salute, raccontino una realtà diversa, in cui si evidenzia come il carico di lavoro per ogni ginecologo non obiettore si concretizzi in 1,7 aborti a settimana. Certo, è sempre una media, ma si converrà che è decisamente bassa per giustificare una tale richiesta di ostracismo verso tutti i medici che si rifiutino di effettuare interruzioni di gravidanza. A meno che, ma qui si sconfinerebbe nella fantascienza, il vero obiettivo sia un altro. Ad oggi, a tutela della salute delle donne, gli aborti si effettuano solo negli ospedali pubblici: non sarà che ancora una volta, con il pretesto di garantire un vantaggio per la collettività, in realtà si miri a incentivare interessi privati? Vista così, la privatizzazione dell’aborto è molto più infida di quella con la Ru486.