Leggi Martinsicuro, seconda stazione quaresimale con il Vescovo Carlo
MARTINSICURO – In questa seconda stazione quaresimale ci si fa incontro al quartiere “multietinico”, uno dei crocicchi verso cui siamo chiamati ad andare e ad abitare.
Un quartiere multi-: multiculturale, multireligioso, multietnico, multilinguistico, tante pluralità, persone portatrici di tante diversità, che si ritrovano fianco a fianco nei nostri quartieri.
I temi della multiculturalità, dell’interculturalità sono necessariamente i termini per descrivere e interpretare le nostre società. La presenza degli immigrati ridefiniscono i modi dell’interazione sociale, ripensati in termini di multiculturalismo e interculturalità. Per i cristiani “il passaggio da società monoculturali a società multiculturali può rivelarsi così segno di viva presenza di Dio nella storia e nella comunità degli uomini, poiché offre un’opportunità provvidenziale per realizzare il piano di Dio di una comunione universale”. La stessa UNESCO ha definito la pluralità culturale patrimonio dell’umanità. Ma siamo chiamati a passare dal multiculturalismo, che semplicemente registra il pluralismo di culture che coabitano in un medesimo spazio, in uno stesso quartiere, all’interculturalità. L’interculturalità è la risposta a questa società plurale, è l’elaborazione concreta di strategie di convivenza e educative per valorizzare le diversità, promuovere il dialogo, l’interazione, la formazione di un pensiero che sia per interconnessioni, plurale ma rispettoso, arricchito, pienamente umano, davvero solidale.
Andare fino ai crocicchi del quartiere multietnico è mettersi in ascolto, farsi prossimo, di tante diversità, di tante problematicità. Perché davanti al pluralismo, alla complessità dei fenomeni della migrazione, si può faticare a trovare un nuovo e costruttivo modo di vivere insieme la città. Ci si può muovere tra muri da innalzare per paura, a difesa di identità culturali, territoriali, in cui anche la religione finisce per costituirne lo sfondo fondamentalista, o ci si disgrega in forme relativiste o individualiste private di qualsiasi orizzonte unificante e solidale. È necessario recuperare una nuova dimensione di relazionalità, di dialogo, di apprendimento reciproco, di ospitalità: un nuovo modello dialogico in cui la pluralità da problema diventi risorsa, risorsa condivisa. Il dialogo, e il dialogo interculturale devono diventare strategia e prassi capace di trasformare la multiculturalità e il pluralismo in una coesistenza rispettosa delle pluralità, in una convivialità delle differenze, secondo la bella espressione di mons. T. Bello.
Come cristiani siamo chiamati a un pluralismo relazionale sotto lo sguardo d’amore dell’unico Dio, chiamati cioè all’autenticità della fede cristiana. È la rivelazione Cristologica Trinitaria che dà forma e significato al dialogo stesso, una rilettura trinitaria e quindi relazionale del cristiano e della Chiesa, è Cristo che si dona sulla croce, che rivela la relazionalità quale verità ultima su Dio (Trinità) e sull’uomo (amore). Allora la sfida del pluralismo diventa una provocazione a recuperare il cuore della fede cristiana. Dio in Gesù si incarna dentro l’esperienza umana, esce fuori, come ci invita sempre papa Francesco, supera ogni barriera tra Dio e gli altri (uomini), per realizzare l’unità non eliminando le diversità. La capacità di costruire società interculturali si gioca su come si sapranno affrontare le sfide del dialogo che coinvolgono le identità, la sfida del rispetto e interazione delle culture, la sfida del dialogo del religioso.
Ma forse la sfida più grande si gioca sul valore dell’umanità, su quanto in pratica si saprà vivere la solidarietà, o meglio l’amore per il prossimo, e qui la vita del cristiano si carica di responsabilità.