Professore, da quanti anni svolge la sua attività di scultore e come è iniziata la sua attività?
Sin da bambino divoravo album da disegno, avevo sempre le mani sporche di plastilina, ma questa voracità si è spenta con gli anni delle elementari, la scuola di allora non teneva in nessuna considerazione queste doti. Il desiderio dell’arte è riapparso con la fine delle medie, quando incontrai degli insegnanti che davano grande importanza ai rapporti umani. Provo nei loro confronti una grande riconoscenza, non solo per le scelte artistiche future, ma, diventato insegnante, ho cercato in qualche modo di imitarli, usandoli come modelli.
Debbo a loro che intrapresi gli studi con il liceo artistico e poi l’accademia. Certo, non è così scontato tradurre un talento in mestiere, è molto facile perdersi, l’arte è il mondo dell’incertezza, dell’approssimazione. Ancora non dimentico l’espressione dei miei genitori, quando comunicai che volevo fare l’artista, anzi lo scultore, lessi nei loro occhi la disperazione di chi immagina, non senza cognizione, il proprio figlio proiettato verso una vita di stenti.
In effetti il mestiere dell’arte è un percorso in eterna salita, nella quale devi credere senza esitazioni in te stesso e in quello che fai. Quando sei giovane il mestiere è un continuo inizio, in quanto i riscontri, soprattutto economici, sono pesantemente modesti, e solo quella fede ti può salvare.
Tra i tanti inizi, quello che più ha segnato la mia strada, è quello del 1981, quando giovane promessa appena uscito dall’accademia, mi colse l’artrite reumatoide, che per un lungo periodo m’impedì qualsiasi attività. L’esperienza del dolore mi offrì la possibilità di esplorare il mio mondo interiore più intensamente. Quando i morsi della malattia si attenuarono, la mia sensibilità si era affinata, il bagaglio emotivo arricchito. Nel 1983 organizzai la mia prima mostra personale in cui la mia ricerca poetica si era avviata verso quelle tematiche che ancora fanno parte della mia opera.
A quale corrente artistica appartiene la sua produzione e qual è lo scultore che lei vede come un modello?
Non mi sento di appartenere a nessuna corrente artistica. Oggi l’arte vive un momento di grande complessità e fragilità. Il mio lavoro è orientato verso la figurazione, un mondo direi forse rassicurante e anacronistico, anche se oggi mi sembra più che mai attuale, in quanto molti giovani sembrano esprimere le stesse tensioni.
Non ho mai pensato ad uno scultore come modello, ma a tanti. A tutti quelli che hanno espresso una forte componente morale e civile: Giovanni Pisano, Donatello…. Ma anche pittori come David, Courbet, Mantegna….
Nell’arco della sua carriera si è parecchio dedicato a soggetti sacri. Può ricordare ai nostri lettori quali sono le opere di maggior rilievo che ha prodotto per la committenza ecclesiastica? Ci può dire poi quale opera considera il suo capolavoro?
Tra le opere più significative che ho realizzato, penso ci sia l’ultima, la “Porta degli emigrati” per il Santuario di San Gabriele, forse perché è l’opera della maturità, forse perché è ancora fresco il ricordo della fatica, ma anche l’ambone della cattedrale di Fiesole, la porta della cattedrale di Jesi.
Più che il mio capolavoro, il cui giudizio lascerei ad altri, parlerei dell’opera che amo di più: la “Madonna della Misericordia” per la parrocchia di San Pio X a San Benedetto del Tronto. E’ una scultura che racconta un momento particolarmente difficile della mia esistenza.
Quale rapporto c’è fra chi commissiona l’opera d’arte e lo scultore? L’artista ha una certa libertà?
Tra artista e committente si istaura una certa complicità, quando il committente ti sceglie per realizzare un’opera, ha in te una grande fiducia. Va un po’ sfatato il luogo comune per cui le opere su committenza siano delle costrizioni per la sensibilità dell’artista.
I temi definiti sono per l’artista, quello che è la rima per il poeta, per non parlare poi di tutta l’arte del passato in cui si operava solo esclusivamente su committenza. Direi anche che la libertà espressiva e la propria personalità si possono affermare anche nei temi più angusti delle opere su committenza. L’importante è la qualità dell’opera.
In che misura secondo lei l’arte contemporanea riesce a descrivere la sensibilità religiosa dell’uomo di oggi?
Il rapporto tra spiritualità e arte contemporanea è complesso e spesso conflittuale. Distinguerei tra un’arte sacra creata appositamente per la liturgia e un’arte che pur lontana nei temi evidenzia la ricerca di senso, l’annuncio, l’intuizione del divino. Nella complessità del contemporaneo molto spesso è più la seconda tipologia di opere che ci avvicinano al sentimento di Dio. E’ sempre la bellezza lo strumento attraverso la quale si può parlare di spiritualità.
Lei oltre ad essere scultore è docente. Come si pongono secondo lei i ragazzi di oggi di fronte al nostro patrimonio artistico e in definitiva rispetto alla bellezza?
Se il mestiere dell’arte è straordinario posso dire, dopo tanti anni di insegnamento, che quello di docente lo è altrettanto. Il mondo della scuola è ancora il mondo della speranza e direi anche della bellezza. Certo lo studio è fatica, chi di noi si alzava la mattina con la gioia nel cuore pensando di andare a scuola? Nonostante che i ragazzi intuiscano che parlando di Masaccio o di una colonna greca, gli racconti le cose più belle che ha creato l’uomo, un conto è assistere una lezione, dove l’insegnante cerca di trasmetterti la sua passione, un conto è poi studiarsela e di nuovo raccontarla.
Ma il tempo dell’adolescenza è un tempo particolare. Nell’età adulta si ripensano tante cose e ci si accorge che molti discorsi sono “passati”, così l’arte è entrata a far parte del patrimonio più profondo di ognuno. Credo che tu ne sia la testimonianz: ebbi un sussulto di gioia, quando, in visita a Santa Maria sopra Minerva a Roma, ti incontrai mentre spiegavi le numerose opere d’arte del luogo ad un gruppo di bambini.