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Il cartone ”Cuccioli” apre una strada nuova per la catechesi

Di Riccardo Benotti
C’è il pulcino Senzanome, faccia d’angelo che non parla e si esprime con cartelli. Il coniglio Cilindro, dai timidi occhi azzurri ma dal cuore d’atleta. La saggia gattina Olly, pelliccia rossa e coda lunga. Il cagnolino Pelliccia, occhi intelligenti e collare rosso. La rana Pio, che ama declamare versi e fare imitazioni. E poi Diva, papera vanitosa appassionata di shopping, specchi e gioielli. Sono i sei personaggi di “Cuccioli. Il paese del vento” di Sergio Manfio, cartone animato tratto dalla fortunata serie di 156 episodi distribuita in circa 40 Paesi del mondo (per guardare il trailer clicca qui). Dal prossimo 27 marzo il cartone verrà proiettato nelle sale della comunità d’Italia per iniziativa di Acec (Associazione cattolica esercenti cinema) e Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Padova, grazie alla collaborazione di Gruppo Alcuni, produttore dei cartoni animati “Cuccioli”. Alla vigilia dell’uscita in sala abbiamo parlato con Francesco Giraldo, segretario generale Acec.
Fare catechesi attraverso i cartoni animati: come nasce l’idea di “Cuccioli”?
“Vogliamo offrire percorsi di pastorale e catechesi attraverso i film. È un po’ quello che sollecita anche Papa Francesco, invitando a non essere autoreferenziali e togliersi di dosso la veste paludata di chi avvicina il teatro e il cinema come una materia di pertinenza altrui. Invece il Concilio Vaticano II insegna a guardare il bene lì dove c’è: il cinema e il teatro sono pieni di riferimenti religiosi e spirituali”.
Dunque il cinema come strumento di evangelizzazione?
“Vorremmo che diventasse un supporto costante per le attività pastorali. I nostri figli vedono già ‘Cuccioli’ in televisione, una delle serie più seguite in Italia. Abbiamo scelto, allora, di stimolare la riflessione non soltanto sul tema della salvaguardia del Creato ma anche sul fatto religioso. Il vento, infatti, è certamente un fenomeno atmosferico ma nella Bibbia rappresenta il soffio di Dio. Non si tratta di un approccio strumentale ma di una questione di sostanza”.
Cooperazione, solidarietà, creatività e non solo. “Cuccioli” mette in scena anche il tema della disabilità. È un modo diverso di parlare ad un pubblico giovanissimo?
“È un elemento caratteristico del cartone. Il pulcino Senzanome non sa da dove viene, non ha radici. È un tratto tipico di un certo cinema d’autore, da Dickens alla Disney: i bambini più forti sono quelli che non hanno genitori, non hanno radici e devono costruirsi un’identità. Pensiamo al personaggio di Harry Potter”.
Insieme al cartone viene distribuita anche una scheda pastorale…
“È un’iniziativa che avevamo già proposto con ‘L’amore inatteso’, che racconta con umorismo la vocazione religiosa che coglie d’improvviso un quarantenne della media borghesia colta parigina, alle prese con una fede che nasce da dentro. La scheda pastorale è uno strumento utile per chi voglia ‘utilizzare’ il film anche in famiglia e nella catechesi”.
“Cuccioli” è accompagnato anche da un gioco da tavolo per i bambini…
“All’uscita della sala verrà consegnato a tutti i bambini un gioco che, oltre a domande di tipo generalista, si concentra anche su argomenti religiosi e richiami della Bibbia. È un modo per coinvolgere le famiglie, una sorta di catechesi allargata perché quando il bambino tornerà a casa giocherà insieme alla mamma, al papà, ai fratelli. E sono davvero curioso di vedere come i genitori sapranno rispondere a tutte le domande che verranno fuori!”.
Attraverso questa iniziativa l’Acec vuole avviare nuovi rapporti tra sale e comunità ecclesiale?
“Vogliamo che l’attività della sala risponda sempre più alle necessità della comunità. Va in questa direzione la scelta di proporre film d’essai e culturalmente significativi, come stiamo facendo in questi giorni con la rassegna sul tema dell’emigrazione ‘Terra senza promesse’ organizzata in collaborazione con il Progetto Culturale Cei e il Servizio per la promozione del sostegno economico. Le parrocchie hanno necessità di prodotti che affrontino in modo moderno alcuni argomenti: il documentario ‘L’ultima cima’ dedicato alla vita di don Pablo Dominguez, ad esempio, ha trovato distribuzione anche al di fuori delle sale della comunità. Siamo aiutati dalla grande produzione cinematografica nazionale ed estera. Il digitale, poi, semplifica le cose”.
Parrocchia e sala della comunità: un binomio in crescita?
“Il benessere di una parrocchia si vede dalla capacità innovativa e culturale di una sala della comunità e dal suo grado di coinvolgimento. Essendo la soglia tra la comunità ecclesiale e il territorio, la sala è un ambiente ibrido dove si può sperimentare l’annuncio del Vangelo. Da questo punto di vista, la sensibilità dei parroci sta crescendo. Nelle sale c’è un’altissima partecipazione di volontari, circa 25mila in Italia, per la quasi totalità costituita da laici. Per gestire una sala, infatti, c’è bisogno di una presenza competente e culturalmente attrezzata. Non dimentichiamo che la sala della comunità è un presidio pastorale e culturale”.
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